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DUEL regia di Steven Spielberg

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kafka62     7½ / 10  26/04/2018 11:50:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nonostante l'assoluto, trasparente realismo della storia, "Duel" è chiaramente un film metaforico, è la lucida e kafkiana trasposizione di un incubo portato alle sue più estreme conseguenze, la allucinata descrizione della discesa agli inferi di un cittadino americano medio (con famiglia, lavoro e valori medi, vale a dire piccolo-borghesi), inopinatamente chiamato a fare i conti con un'Entità Ostile e costretto per avere la meglio a far ricorso ad un selvaggio e primordiale istinto di sopravvivenza (come il Dustin Hoffman di "Cane di paglia", ma con ben altre implicazioni allegoriche). David Mann, il protagonista, è – secondo le stesse parole dell'autore – "una persona ordinaria in circostanze straordinarie", cioè un personaggio il quale, messo di fronte a una situazione che lo sovrasta, scopre per la prima volta la sua vera natura, fino ad allora sepolta e resa impotente dalle regole e dalle convenzioni sociali.
Se accantoniamo per un attimo la tentazione di dare un significato a questa Entità Ostile, è interessante osservare la progressione inesorabile, e narrativamente efficacissima, attraverso la quale David viene fatto precipitare nell'incubo. Egli passa gradualmente, con la sua auto, dalle affollate vie cittadine a strade sempre più deserte, la sensazione di normalità creata dalla musica della radio, dalla guida regolare e rilassata, dai rettilinei privi di traffico viene incrinata dalla fastidiosa comparsa dell'autocisterna, il montaggio si fa impercettibilmente più serrato (il ritmo è più spezzato, diventano più frequenti le inquadrature dagli specchietti retrovisori). Quando in una manovra di sorpasso David per poco non rischia la vita, egli esclama: "Non ci posso credere! E' assurdo!". Egli è ancora legato agli usuali schemi di ragionamento, continua a pensare all'appuntamento di lavoro e al ritorno a casa, e non si accorge che invece è irrevocabilmente entrato in un'esperienza in cui non valgono più le regole comuni, e in cui, oltretutto, è completamente, irrevocabilmente solo. La gente attorno a David progressivamente scompare: durante la sosta al bar egli scopre che tutti gli avventori calzano gli stessi stivaletti del suo misterioso persecutore (quasi a sancire una sorta di indifferenziata ostilità del prossimo), mentre la benzinaia e la coppia in automobile, potenziali soccorritori del protagonista, vengono allontanati con brutalità dall'autocisterna. Alla fine David rimane solo contro il terrificante avversario, e accetta finalmente l'ineluttabilità della sfida all'ultimo sangue.
Ma cosa rappresenta la diabolica autocisterna? Quale significato deve essere attribuito a questa inquietante presenza? La geniale trovata di Spielberg di non dare alcun volto all'autista ha come effetto, oltre a quello di accrescere la suspense del film, quello di metafisicizzare il deuteragonista. David è perseguitato da qualcosa che non capisce, che sfugge al suo controllo, alla sua razionalità. Si tratta di Dio? o del Destino? o di un complesso di colpa di proporzioni titaniche (la moglie gli ricorda per telefono un episodio imbarazzante avvenuto la sera prima)? o della Macchina tecnologica? o dell'Irrazionale che sconvolge la routine della quotidianità? Spielberg non lo dice apertamente. Tutte le interpretazioni sono plausibili, ma quello che conta è che la polisemantica ricchezza del film non ha bisogno di celarsi all'interno di una struttura criptica e fumosa, da nouveau roman, giacché qui il materiale simbolico è tradotto in termini perfettamente e limpidamente realistici (in fondo la storia può essere legittimamente circoscritta al mero inseguimento tra due automezzi per le strade della provincia americana, anche se poi, per fare un esempio, il tubo di scappamento dell'autocisterna rimanda inevitabilmente allo sfiatatoio di una balena, autorizzando così l'identificazione del camion con l'immagine biblica del Leviatano).
"Duel" è imbevuto di classicità. In esso si possono ritrovare ad esempio atmosfere tipicamente western: in una sequenza "David è ripreso da sotto il corpo dell'autocisterna, esattamente come in tanti western l'eroe veniva ripreso da sotto le gambe dell'antagonista" (La Polla: "Steven Spielberg", La Nuova Italia), mentre i due autoveicoli si fronteggiano ieraticamente come in "Mezzogiorno di fuoco". Per contro non si possono nascondere i debiti di Spielberg nei confronti del cinema di avventura. L'inseguimento e la resa dei conti finale sono descritti secondo i tradizionali stilemi del genere: la tensione via via crescente portata gradualmente all'apice (soprattutto per mezzo del montaggio, come si è già detto, o di stratagemmi come l'alternanza tra la musica dell'autoradio e il rumore dei veicoli sulla strada a seconda che la sequenza sia ripresa all'interno o all'esterno dell'abitacolo), i momenti di rilassamento che preludono a un aumento dell'intensità del dramma, i contrattempi improvvisi e inattesi, persino la presenza di animali come ragni o serpenti. Infine, "Duel" è un road movie: anche se più che un film "di strada" alla "Easy rider" o alla "Punto zero" può essere definito un film "su strada" (in cui la strada e il viaggio sono tutto sommato lo sfondo all'azione, ancorché uno sfondo non meramente accessorio e casuale), esso conserva tutti i topoi del road movie, soprattutto nella scelta delle inquadrature (la strada vista dagli specchietti retrovisori, le inquadrature del volante, del contachilometri o della spia dell'olio, le riprese del cofano, i campi lunghi che fanno interagire il veicolo nel paesaggio circostante).
Pur essendo il lungometraggio d'esordio di Spielberg, "Duel" fa già intravedere una personalità registica fuori del comune. Il giovane regista trasforma una storia di matrice televisiva in un qualcosa di squisitamente cinematografico. Non c'è in "Duel" la standardizzazione delle inquadrature e la piattezza fotografica di un TV movie, bensì una varietà di soluzioni stilistiche (angoli di ripresa, lunghezza dei campi, successione delle sequenze) davvero impressionante. E originale, perché, a distanza di tanti anni, si può dire che "Duel" è un film inconfondibilmente spielberghiano. Si consideri la scena seguente. L'auto di David è ripresa a distanza col teleobiettivo; ad un certo punto la vediamo sbandare e fermarsi in mezzo alla strada: una zoomata all'indietro, che fa entrare in campo le ruote dell'autocisterna, rivela allora inaspettatamente la presenza del temuto nemico. Il tutto in un'unica sequenza, grazie a un personalissimo montaggio "in macchina". D'altra parte, l'inquadratura del tunnel in fondo al quale si staglia l'autocisterna ha un precedente nel cortometraggio "Amblin'", la ripresa del treno e del camion che viaggiano paralleli esprime l'amore del regista per un cinema dinamico e in perpetuo movimento (non a caso Wim Wenders la citerà in "Nel corso del tempo") e il finale con la silhouette di David contro il sole al tramonto rivela la sua ben nota fascinazione per l'illuminazione naturale. Manca, è vero, in "Duel" la perfezione spettacolare delle opere successive (dove abbondano i dolly, gli effetti speciali e in genere l'impiego di tecnologie sofisticate), ma ad essere sinceri la freschezza, l'originalità e la forza inventiva di questo primo film, in cui il contributo del pro-filmico è ancora abbastanza marginale e la narrazione viene risolta soprattutto a livello di tecniche di ripresa, sono preferibili alla fastidiosa e falsamente ingenua maniera di altri film della maturità del regista.