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E SE OGGI... FOSSE GIA' DOMANI? regia di Kevin Billington

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KOMMANDOARDITI     5½ / 10  13/04/2011 19:29:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
---ATTENZIONE - IL COMMENTO PUO' CONTENERE ANTICIPAZIONI---
Chi dovesse affrontare la visione di questo film, previa buona volontà, pazienza ed adeguata freschezza mentale, non potrebbe che meravigliarsi dinanzi alla mole così imponente di elementi, temi, soluzioni e colpi di scena, che rimandano a tutta una serie di opere celebri e meno celebri, a partire dai sixties sino ad arrivare ai giorni nostri. Uno stupore di brevissima durata, sia chiaro...
La storia è quella di una coppia, composta da David Hemmings e Gayle Hunnicut, che dopo la tragica perdita del proprio unico figlioletto, inghiottito dalle acque di un fiume e mai più ritrovato, decidono di andare a trascorrere un po' del loro tempo nell'intimità di una villa sperduta tra le campagne inglesi, con lo scopo principale di rinsaldare il loro rapporto, sfaldato ed indebolito dal grave lutto patito. La donna ha alle spalle un periodo nerissimo di esaurimento nervoso ed è appena stata dimessa da un istituto di cura, benchè continui a rivivere ad occhi aperti alcuni terribili momenti del suo tentato suicidio, inframmezzate da immagini inquietanti di non chiara decifrabilità. Come tradizione insegna, marito e moglie, rinchiusi in uno spazio isolato e ristretto, non potranno far altro che dare il via al rodato carosello autolesionistico fatto di ripicche, rinfacci, recriminazioni, perfide cattiverie ed asti passati cinicamente riesumati; ma in quella dimora abbandonata e polverosa i due non saranno soli e lo stato reale delle cose non tarderà a disvelarsi in tutto il suo orrore ineluttabile.
Il mondo visto con gli occhi di chi è morto e non sa di esserlo, la ribaltata percezione di quelle ignare anime trapassate che scrutano i vivi come fossero loro le paurose entità ultraterrene, l'inconsapevole aldilà che osserva il suo controcanto dall'altro lato dello specchio, quello senza riflesso: l'artifico è lo stesso di recenti successi come IL SESTO SENSO e THE OTHERS. Che dire poi dell'incidente automobilistico mortale, che apre e chiude l'ingannevole excursus spiritico dei protagonisti, il medesimo di quel piccolo e sconosciuto gioiellino del macabro anni '60, noto col titolo di CARNIVAL OF SOULS (quel CARNEVALE DI ANIME apparso non molto tempo fa sul Fuori Orario di Raitre). L'affogamento del piccolo, l'inconsolabile madre sconvolta dai deliri di rimorso, la presenza di una medium non possono che richiamare con forza il coevo e conterraneo capolavoro di Roeg A VENEZIA...UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING; senza dimenticare la candida bambina che gioca con la palla, proveniente direttamente dal baviano OPERAZIONE PAURA, prima ancora che dal felliniano TOBY DAMMIT (terzo episodio del corale TRE PASSI NEL DELIRIO).
Volendo spingersi addirittura oltre nella pignoleria dei parallelismi, emergerebbe distintamente come l'infanticida disattenzione da amplesso coniugale "prolungato" sia stata una dinamica chiave ripresa pari pari, a quasi 40 anni di distanza, da un'opus viscerale quale l'ANTICHRIST di Von Trier o dallo snobbato e crudelissimo LES 7 JOURS DU TALION di Daniel Grou.
Nonostante la straordinaria quantità di riferimenti metatestuali, uno più affascinante dell'altro, la pellicola disattende amaramente le aspettative, intrappolata com'è nella tetra staticità british che affliggeva all'epoca anche gran parte del cinema di genere d'oltremanica.
Kevin Billington era reduce dall'assurda e sgangherata trasposizione vernesiana de IL FARO IN CAPO AL MONDO, insolito prodotto fanta-avventuroso in cui aveva già dato prova di scarsa capacità nel calibrare lucidamente le diverse componenti in gioco (e di nessun aiuto poteva risultare lo scombiccherato cast da paura, che riuniva assieme Kirk Douglas, Yul Brinner, Renato Salvatori ed un imberbe Massimo Ranieri...dico Massimo Ranieri!!!) In questa occasione, in verità assai più densa di spunti e possibilità elaborative rispetto alla precedente, il filmaker inglese rivela purtroppo solo la sfiancante propensione ad una rarefazione piatta e limacciosa.
L'atmosfera uggiosa e decadente manca di quella indispensabile funzione espressionistica, che consenta cioè di restituire visivamente il travaglio interiore e le ansie dei due personaggi centrali (il Di Venanzo de IL GRIDO avrebbe saputo ben indicare le corrette coordinate), e finisce così per gravare sugli eventi come un pesante mobile di fine Ottocento.
L'accompagnamento musicale pianistico appare blandamente decorativo ed inefficace e tende a spegnere ancor più il grigiore della mono-location, mentre l'indolenza degli sviluppi narrativi viene spezzata e rallentata ulteriormente da farraginosi flashback innestati e montati senza quella sufficente convinzione, privi per di più di palpabile potenza evocativa.
Le caratterizzazioni dei due protagonisti, sfuggenti ed ondivaghe, non scansano i classici difetti delle produzioni low-budget anni '70: Hemmings è statico, inerte, scialbamente indeciso; la Hunnicut si trascina invece, con menefreghistica casualità, tra il registro isterico, quello patetico e quello atterrito. L'azzeramento del coinvolgimento da parte dello spettatore è fin qui pressochè totale.
Senza dubbio, un valido motivo di riflessione resta il momento clou del rapporto sessuale che, in ambedue le occasioni in cui si presenta, sembra apportare quel colpo di coda decisivo per la storia, rimarcando la comunione di sensazioni e destini tra le due figure principali, entrambe compartecipi della medesima realtà. Troppo poco però per coprire il senso di irritante inutilità provocata dagli input psicanalitici e dai ridicoli agganci incestuosi inseriti alla rinfusa, tanto per rincarare la dose di pelosa morbosità vintage, irrorando l'arido languore della trama di una vana e forzata effervescenza.
In definitiva un mistery settantiano freddo, disadorno, immerso in un torpore nebbioso alquanto insopportabile, la cui colpa più imperdonabile è proprio quella di non aver saputo elaborare decentemente il mood ambiguo e la ricchezza metaforica di un argomento tanto lugubre quanto maledettamente seducente.

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Nikilo  13/04/2011 19:48:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questa volta Nico ci troviamo in due posizioni un po' differenti...
Il film nonostante i suoi grandi limiti che come giustamente hai potuto cogliere in maniera più che oggettiva, ( alla lunga risulta essere piuttosto statico e forse i continui botta e risposta tra marito e moglie non sono stati altro che dei tappabuchi e la sua lentezza non ha giocato a suo favore), però ti dirò che a me nonostante tutto è piaciuto! Forse ho apprezzato più l'idea di fondo che il film in sè. Comunque bella recensione come al solito!

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KOMMANDOARDITI  13/04/2011 20:03:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Naturalmente non intendevo dire assolutamente che Von Triers potesse essersi ispirato a questo film misconosciuto (non è un cinefilo incallito come Tarantino o Kubrick), ho solo parlato di "elementi che rimandano", che possono richiamare alla mente. Nel caso specifico di ANTICHRIST volevo unicamente sottolineare come la morte del figlio della coppia fosse anche qui causata da una disattenzione da "ansia sessuale" (così come accade perlatro nel recente SEVEN DAYS). Non so se concordi.

Per quanto riguarda CARNIVAL OF SOULS posso solo assicurarti che è un'opera artigianale ma straordinaria ed ha influenzato anche un autore del calibro di Romero in ognuno dei film della sua storica trilogia (per stessa ammissione di George, intendo). Pensa che spunti dal film di Harvey li ho scovati persino nell'ultimissimo SURVIVAL OF THE DEAD (il nadir di Romero...)

Comunque ci sta tutta questa nostra lettura differente dell'atmosfera del film ma, come hai ben detto, l'idea di partenza poteva meritare svolgimento più degno ;-)
Nikilo  13/04/2011 20:08:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Assolutamente sì! Comunque concordo eccome!
Forse alla fine l'unica differenza è il modo differente in cui ci siamo posti sul tema trattato, tutto qui, che come hai giustamente detto ci sta eccome! ;-)