caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

THE CONSPIRATOR regia di Robert Redford

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  05/07/2011 02:03:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si potrà obiettare che sia un pò schematico nella ricostruzione - anche quella, cinematograficamente sublime, dell'assassinio a Lincoln - che si giostri su un idealismo perduto che tenta tardivamente di ricordare i fondamenti della costituzione americana, che sia fin troppo facile rileggerlo come un pamphlet storico-giudiziario le cui conclusioni (Guantanamo docet) sono un'utile monito alla società contemporanea (vendetta, non giustizia) ma io ho trovato "The conspirator" un'ottimo film nel suo genere, sicuramente molto più onesto e affidabile di tanti pretenziosi (irrilevanti o ipocriti) atti d'accusa del cinema Usa di questi anni.
Sorprendentemente la prova attoriale è efficace almeno quanto le sfumature psicologiche dei loro personaggi: su tutti, svetta una Robin Wright Penn materna e pasionaria, sensibile e dignitosa, che difficilmente si riesce a dimenticare. Ma non vanno minimizzate le prove sorprendenti di Kevin Klein, di Evan Rachel Wood e di Danny Huston (figlio del grande John), quest'ultimo quasi serafico nella sua corrotta esposizione "al di sopra delle parti" (per modo di dire ovvio).
Francamente l'anello debole mi pare proprio il protagonista, una performance troppo presuntuosa e gigiona - ehm sì il modello sembra proprio essere il Costner di Jfk - per essere attendibile.
Invero il film risulta davvero attendibile, e non solo per la classe registica di Redford. I soldati che, durante il processo, impediscono alla madre di vedere la figlia - il volto smarrito di una ragazza borghese quando capisce di non essere accettata a una festa - i cappucci calati al patibolo come se fossimo davanti a uno splendido western d'annata, tipo "Alba fatale" di Wellman.
E del resto, requisendo il dramma giudiziario di cui è stato come attore interprete principale, Redford mette a nudo quell'altra "ferita aperta", quella della democrazia sancita dalla costituzione, alla quale il paese più amato e odiato del mondo ha fatto riferimento solo in sporadici casi, nel corso dei decenni.
C'è un linguaggio neutrale e semplice che qualcuno potrebbe credere superficiale, c'è un finale che non reprime ma neppure alimenta il senso di ingiustizia, ed è come se si voltasse nuovamente pagina.
Proprio come l'America, che acconsente di chiudere un capitolo amaro per aprirne un'altro, non meno feroce o disinvolto