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LA PELLE CHE ABITO regia di Pedro Almodovar

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JOKER1926     7½ / 10  09/05/2012 01:45:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare" chiamatelo proverbio, slogan, definitela semplicemente "una frase". Ma, in effetti, è da ciò che prende forma il prologo attorno a "La pelle che abito" film del controverso Pedro Almodovar.
Questo preso in analisi è un film che vive nella sua studiata nefandezza e assurdità. Il contenuto spiazza fra varie cose indicibili, la malattia della mente appare padrona e schiava di un gioco più grande di essa.
E quando la fisionomia di un film sembra essere delineata è importante trovare una ferrea corrispondenza; chi meglio di Almodovar può partorire tale macello etico?
"Macello etico" è la sintesi che meglio abbraccia e illustra "La pelle che abito" film costruito, talaltro, su un titolo non di oggettiva interpretazione.
La logica in questo frangente scompare ben presto dalla scena, già dalle prime sequenze inizia a prender vita quel disegno perverso e del tutto anormale. I protagonisti che calcano la scena si avvalgono di personalità non comuni, con l'entrata in scena di Zega, sembra di esser irrimediabilmente entrati in contesti scenici deviati che vertono verso una "tipicità" del cinema, quella di Lynch.
Ad irrobustire ciò appena detto scenari geometrici e lirici che scatenano quel senso di prigionia scientifica e programmata.
Arrivati a tal punto dell'introspezione è importante associare questo prodotto spagnolo ad altri due film, insomma "La pelle che abito" qualcosa di importante lo prende da "Occhi senza volto" (1960) e da "Il collezionista"(1965).
Gli apparati scenici, i personaggi di questi due prodotti degli anni sessanta ricompaiono qui con Almodovar in modo "restaurato" ma pur sempre in modo "simile".

La sceneggiatura de "La pelle che abito" è sapientemente impostata, qui più che la narrazione prevale il montaggio, l'esposizione di essa che gioca su un flashback.
Spettatore mai stanco durante la proiezione, il film ha un suo dinamismo, una peculiarità e un fascino a dir poco invitante.
Tuttavia resta difficile qualificare il film in un apposito genere, la componente drammatica è alla base, certamente , ma la regia spagnola non vuole fermarsi sul binario dell' atto melodrammatico ma scavare oltre cercando di far evolvere a voce alta un grosso e clamoroso processo di metamorfosi fisica saturo di diramazioni simboliche, metaforiche. Queste, nella cinematografia del regista spagnolo, dopotutto , sono state sempre presenti.
Banderas fra gli attori è quello in maggiore forma; la fotografia di grande livello (specie negli spazi chiusi) offre l'essenziale per innalzare anche, in modo irrevocabile, il lavoro tecnico. Film di ottima riuscita, difficile però da proporre ad un pubblico "universale", ma questo è il bello!