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TOMBOY (2011) regia di Céline Sciamma

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pier91     8½ / 10  15/10/2011 03:10:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quando si vive una preadolescenza travagliata capita che a distanza di anni ci si arrovelli sulle ragioni, ci si smarrisca nella reminiscenza, nella ricerca del trauma perduto. Questo fino a constatare, nella maggior parte dei casi, che quel trauma di fatto non esiste. Che un certo sentimento consegua sempre ad un certo fatto è una concezione sbagliata, o per lo meno inverosimile. Siamo dotati di un'impronta congenita, l'indole, che comporta evoluzioni caratteriali a sé stanti, indeterminate ed incausate. Convincersene è necessario, al di là della verità, o il dolore, lo straniamento della crescita, vissuti talvolta con un eccesso di sentimento, sarebbero incomprensibili, o meglio intollerabili nella loro forma di ricordo.
Alla luce di questo, "Tomboy" è un piccolo miracolo. E' la dimostrazione che il cinema può raccontare senza spiegare, restituire la complessità della maturazione senza tentare introspezioni psicologiche pretenziose, oltre che inevitabilmente false e sommarie (il mio calco personale infatti comporta la mia crescita, uguale a nessun'altra).

Laure si comporta da maschiaccio. Si tratta di una "posa" ovviamente, anche se consapevole e tutt'altro che ludica. Quando non si ha ancora un'identità ci si identifica con l'altro, più precisamente con qualcuno cui istintivamente ci si sente affini. Laure non ha per forza di logica un'omosessualità latente (sarebbe fin troppo semplicistico trarre questa conclusione), conserva altresì una particolare femminilità, una grazia speciale che Lisa sembra intuire, fino ad esserne inconsciamente attratta.
Notevole è la sensibilità nell'inscenare l'atteggiamento dei genitori, sebbene il rischio di aderire agli stereotipi sia dietro l'angolo. Il padre sembra quasi compiacersi della mascolinità della figlia, ciò non di meno lo vediamo abbracciarla con autentico affetto. La madre è assorbita dalla gravidanza, ma ritaglia momenti di ascolto e carezze per la bambina. E' quella di Laure una famiglia imperfetta, ma in fin dei conti sana. Quando la situazione precipita, le reazioni sono magari inadeguate, ma assolutamente credibili e comunque non biasimabili (è proprio vero che "per capire qualcuno bisogna mettersi nelle sue scarpe e provare a camminarci"). La figura più debole si dimostra quella del padre: non sa cosa fare, è impotente ed inetto di fronte al dramma della piccola. La madre invece non smentisce il senso pratico femminile: agisce. Risulta sgradevole, antipatica, ma attua un aiuto concreto. Il suo errore non sta tanto nel gesto, brutale ma inevitabile, quanto nelle parole che l'accompagnano: "Non mi da' fastidio che giochi a fare il ragazzo. E non mi fa neanche pena ". Se l'ultima frase è di una delicatezza sorprendente, quel "giochi" sottolinea una lontananza incolmabile fra l'adulto e la bambina. Fare il ragazzo per lei non è un gioco, non nell'accezione spensierata che gli si da' comunemente. Nelle scene che ritraggono gli incontri di Laure con i compagni c'è di fatti un'ansietà palpabile, un senso d'angoscia sfiancante. Lo spettatore sa e l'immedesimazione con il personaggio è totale, quasi insopportabile.
Pur non ricercando cause, pur non avendo la presunzione di attribuire colpe, Céline Sciamma non manca di affermare, indignandosene, la solitudine dell'infanzia.
Crimson  15/10/2011 17:02:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si tratta di un bello virgola bellissimo commento! mi hai fatto capire diverse cose su Laure e allargato la prospettiva sulla madre. Brava!
pier91  15/10/2011 21:07:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Wow grazie! credo sia il commento più lungo che abbia mai scritto