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IL VILLAGGIO DI CARTONE regia di Ermanno Olmi

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     5 / 10  19/10/2011 21:50:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il momento più bello del film, le prime immagini: ma quella chiesa è artisticamente così povera che quasi quasi hanno ragione coloro che la sconsacrano... capisco cosa ha voluto dirci Olmi: non c'è rispetto più per niente, tantomeno per il culto delle religioni. L'iconografia diventa raffigurazione umana, con certe (m.a.) donne della pittura rinascimentale (da questo punto di vista il film è bellissimo), con quei paraventi prossimi alla soffitta e l'odore di muffa e tarli delle sacrestie. Ma Olmi è un'idealista cattolica esattamente come i comunisti illusi che di certi parametri e Santini non sanno che farsene. La stessa figura del parroco, nel suo delirio di coscienza, sembra appartenere al cinema di De Oliveira, ma privo della dialettica filosofica e scientifica del grande cineasta centenario.
L'escamotage è profondo, sincero, toccante ma è facilissimo da strumentalizzare: infatti ecco i clandestini che scendono sulla grotta (ehm la chiesa) come Giuseppe e Maria, ecco qualche passo saliente del Vangelo, un Giuda informatore, e i volti che solo la modernità sa restituire al nostro tempo. I corpi strappati a un martirìo contemporaneo hanno vesti che possono confondersi con quelle di un lebbrosario di qualche secolo fa.
Non è facile, per me, giudicare un film del genere, per la stima che ho nei confronti del regista e per la mia antipatia verso i dogmi religiosi, e tuttavia ogni volta che la mdp filtrava il pensiero religioso e il tormento della fede del vecchio prete il mio animo espiava soltanto la speranza che esistessero (no che non esistono) uomini di chiesa del genere.
L'illusione di Olmi è debole, sembra soprattutto una pagina rubata all'Osservatore Romano. Ma per un uomo che osa dirci (finalmente, tardivamente) che il Bene non è di chi crede in D.io ma un dovere di tutti, quest'umanesimo da Presepe è irritante quanto la ridondante mise in scene dell'ennesima riflessione sulla fede, sulla perdìta culturale, sul senso della vita, sulla preghiera come atto simbolico (e alleviante) del dolore. E qui il cerchio si chiude, tra le rovine di un rifugio dove l'unica dimora è la Legge.