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IL VILLAGGIO DI CARTONE regia di Ermanno Olmi

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elio91     7 / 10  28/03/2013 19:22:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Intento chiaro per Olmi nel suo ultimo (si spera il contrario nonostante l'età e qualcuno che non lo ama) lavoro cinematografico. Conosciamo la forza delle sue idee e del suo cinema: una calma placida e tranquilla da fideista convinto, un conservatorismo delicato e religioso depennato di qualsiasi spettacolarità. A dispetto di recitazioni magniloquenti e realistiche Olmi preferisce prendere volti veri, come faceva Pasolini, e farli recitare noncurante dei risultato "amatoriali".
"Il Villaggio di cartone" arriva dopo quello che si credeva l'addio di Olmi al cinema narrativo, "Centochiodi"; viene da chiedersi perché girare un film del genere a un'età non proprio giovane anagraficamente. La risposta è che ovviamente Olmi ne sentiva profondamente il bisogno, basta vedere svuotati di ogni preconcetto il film per rendersene conto.
E' un apologo morale (e pure moralistico) sulla cultura dell'accettazione, sugli ultimi e questo lo hanno detto un pò tutti. Altrettanto lampante è notare come la capacità di Olmi nel rendere veri e propri simboli quasi ultraterreni i suoi personaggi sia rimasta invariata e sempre affascinante. I dialoghi sono filosoficamente semplici, quasi banali ma mai privi di significato. Insomma è una pellicola che va guardata con sguardo indulgente perché, ce ne rendiamo conto oggi più che mai, anacronistica ma pure in anticipo sui tempi.
Sembra contraddittorio ma non lo è: anacronistica perché la tolleranza verso gli immigrati arriva al cinema di un autore acclamato ed impegnato forse con troppo ritardo; in anticipo sui tempi perché, come "Habemus Papam" di Nanni Moretti, ha avuto l'acutezza di rendersi conto dei problemi reali della chiesa e dell'uomo. Olmi è molto critico nei confronti della chiesa che si è dimenticata degli ultimi e predica un messaggio evangelico pieno di tolleranza, buonismo e delicatezza sfiorando (e a volte cadendoci in pieno) la banalità. Ma ha (aveva) ragione e i fatti storici gli danno ragione (la storia che diventa protagonista della semplice epigrafe finale).
Per il resto non parliamo di certo di una delle opere migliori dell'autore: passino gli attori principali tra cui un irriconoscibile Hauer e un bravissimo Haber, una bellissima fotografia e una regia lieve e mai noiosa (ovvio, se si conosce Olmi) anche se didascalica e monotona, però i ritratti dei personaggi prete a parte non sono per nulla approfonditi ma solo abbozzati magari volutamente essendo simboli di qualcosa di più grande.
Ma dopo l'incipit di grande potenza visiva e drammatica, il film lentamente si adagia e si annulla, ha qualche bel sussulto (i dubbi e i tormenti del prete protagonista) ma nel finale si affloscia miseramente. Un vero peccato, poteva essere migliore mentre resta un discreto film di un maestro che, pur avendo a disposizione la forza delle sue idee e della sua fede profondamente cristiana e umana, non ha portato fino in fondo il discorso cinematografico. Il messaggio resta però e anche questo è importantissimo.