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THIS MUST BE THE PLACE regia di Paolo Sorrentino

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amterme63     7½ / 10  29/10/2011 19:28:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Di Sorrentino ho visto solo "Il Divo" e devo dire che ho trovato molti punti stilistici di contatto fra il film su Andreotti e "This must be the place". Entrambi sono basati sul tentativo di indagare un unico personaggio, protagonista incontrastato del film. In entrambe le opere si indagano personalità che sono state molto conosciute in passato, hanno svolto un ruolo significativo e che adesso si trovano fuori dal giro, a fare i conti con il vuoto intorno, una profonda crisi d'identità e ricadute a livello di nevrosi. Devono affrontare poi l'ingombrante e impietoso confronto del presente con il passato, trovandosi a fare amari bilanci.
Se con "Il Divo" Sorrentino mirava a fornire indirettamente anche un quadro politico ed etico della società italiana (riuscendoci), con "This must be the place" punta ad ampliare il ragionamento su di un piano esistenzialistico universale (riuscendoci in parte solo nel finale).
La tecnica di approccio ai due personaggi-protagonisti coincide nei due film e consiste nello sguardo "nouvelle vague". In altre parole si preferisce concentrarsi su momenti apparentemente insignificanti e banali della giornata ma che in realtà diventano molto significativi per conoscere il carattere, la personalità, le abitudini, il modo di vivere e pensare che ha il protagonista. Questo comporta in "This must be the place" che per la prima metà del film non esista in pratica trama o azione, solo un montaggio non conseguente di vari momenti di vita, avulsi da logiche di tempo e luogo. Qui il carattere di Cheyenne troneggia con tutte le sue singolarità, i suoi tic, le nevrosi, le abitudini, le peculiarità. C'è da dire che sia Sorrentino con la sua sceneggiatura che Penn con la sua interpretazione riescono a caratterizzare alla perfezione il personaggio, a farlo sembrare una persona vera, come fosse veramente esistito e non un parto della fantasia.
Anche qui attraverso lo sguardo su Cheyenne si cerca di riprodurre il simbolo di un'epoca, come aveva anche Andreotti. Cheyenne in sé riassume vari personaggi della scena musicale e di costume degli anni 70-80. Esteriormente richiama il cantante dei Cure, anche se come età anagrafica e come tipo di musica (pop a sensazione) vengono in mente le New York Dolls (e si spiega l'amicizia con David Byrne). Il personaggio ha poi l'aspetto estraniato e vissuto del tardo Iggy Pop (citato con la sua splendida "Passenger"), mentre alcuni episodi (i ragazzi morti seguendo lo spirito delle canzoni) fanno riferimento a Lou Reed (accusato di avere propagandato l'uso di droghe con le sue canzoni-stile di vita).
Il bilancio sembra essere negativo. Cheyenne vive, anzi non vive, in un ruolo non più esistente, in un aspetto esteriore che ha perso qualunque senso. Quello che lo salva è l'ironia, il distacco da se stesso, il rifiuto di quello che era per qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo, la voglia di essere utile agli altri, di alleviare dolori altrui.
Molti hanno messo in rilievo l'assurdità dell'episodio motore della seconda parte (la caccia al criminale nazista). Nel contesto della storia (pseudo-realistica) però non è assurdo. E' semplicemente un espediente artistico per poter porre il protagonista di fronte al mondo, a confrontarsi con il suo rimosso e con personalità e situazioni diverse dalle proprie. Il raffronto con "A Straight Story" di Lynch è certamente pertinente. Solo che il film di Lynch è infinitamente più lirico e profondo rispetto agli incontri piuttosto superficiali fatti da Cheyenne negli Stati Uniti.
Comunque questa seconda parte, anche se non all'altezza di Lynch, è certamente quella più bella, quella più coinvolgente, quella con il messaggio universale. Si vuole comunicare l'idea che quello che conta non è tanto ciò che siamo per noi stessi, ma ciò che siamo per gli altri. Ed è così che Cheyenne alla fine accetta di rinunciare a se stesso per trasformarsi in un'altra persona, questo per lenire il dolore profondo di qualcuno che si ha a cuore. Essere per gli altri è l'unico modo per trovare una gioia nella vita, questo sembra suggerire la scena finale.
Rimane sullo sfondo però lo stesso difetto di "Il Divo". Nonostante lo sguardo molto insistito su Cheyenne (come su Andreotti), la sua interiorità ci rimane sempre estranea. Ci mancano i perché approfonditi delle sue scelte, soprattutto quelle del passato. Ma anche nel presente quello che viene fatto non viene adeguatamente espresso a livello interiore. La storia si regge quindi sull'interazione di Cheyenne con gli altri, piuttosto che nell'espressione significativa del suo intimo. E' il grande limite del cinema di Sorrentino, anche se con questo film si sono fatti molti progressi rispetto alla chiusura interiore (voluta) del personaggio di Andreotti.
Per il resto Sorrentino mi sembra uno dei pochi Registi con la R maiuscola in circolazione. Nessuna inquadratura banale o fuori posto, molto fantasia e varietà nei punti di vista, grande senso dell'immagine. Le ambientazioni molto curate partecipano all'atmosfera e al messaggio del film. Una festa per gli occhi, non c'è che dire.
Tutto sommato un'interessante e bella visione. Vale la pena guardarlo.
Pasionaria  30/10/2011 17:09:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bravo, Stefano: commento profondissimo

E con te sostengo Sorrentino come migliore regista italiano del momento: l'arte di saper fare interloquire perfettamente immagine- musica- messaggio in un tutt'uno di alto livello, e scusate se è poco.
amterme63  30/10/2011 23:11:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il fatto che tu mi abbia scambiato per Stefano mi fa veramente piacere. Riesce sempre a scrivere cose così belle e profonde che essere preso per lui fa decisamente onore, davvero.
Ma, Rita. Non è che a pranzo c'era il Barbera? :-)
Ciumi  31/10/2011 09:14:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma no, io credo che Rita abbia scritto la prima frase riferendosi a Stefano e la seconda riferendosi a te, Marco.
amterme63  31/10/2011 18:50:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Evidentemente siamo tutti in crisi d'identità. Non trovi, Kater?
Gruppo STAFF, Moderatore Kater  01/11/2011 19:58:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E' vero Maurizio.
Pasionaria  31/10/2011 10:14:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Luuuca, scusami! Sono chiaramente i segni della terza età che avanza. Figurati, so bene che il commento è tuo e mi è piaciuto anche tanto.
Si, a pranzo c'è sempre il Barbera...forse dovrei berne un bicchiere in più ;)



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amterme63  31/10/2011 18:48:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi


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Invia una mail all'autore del commento kowalsky  06/11/2011 20:33:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Volevo aprire persino un post per capire per quale ragione The passenger sia ormai il brano più citato e sfruttato dal cinema recente, comprese certe commediole nostrane
amterme63  07/11/2011 08:34:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Prima di tutto perché è una bella canzone, cantata molto bene dal grande Iggy Pop.
oh dae-soo  15/04/2012 13:27:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Che piacere Luca potersi riconfrontare su un film visto da entrambi (succede quasi mai in effetti).
Commento splendido in perfetto equilibrio tra profondità e fredda analisi.
Credo che siamo in disaccordo sul finale ma forse è proprio questo quello che voleva Sorrentino.
Ottimi tutti i parallelismi con Il DIvo, se avessi visto anche gli altri Sorrentino non ti sarebbero bastate 100 righe per elencare tutti i rimandi e i topoi del cinema sorrentiniano.

Sempre un piacere, ciao!
amterme63  15/04/2012 19:19:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Giuseppe, prima di tutto complimenti per il tuo commento. Sei riuscito anche tu a cogliere aspetti molto significativi di questo film così ricco di sfaccettature artistiche.
E' un film che deve essere interpretato e quindi lascia libertà alla sensibilità di ognuno di esprimere quello che più lo ha colpito dentro. La tua particolare interpretazione del finale non è in contraddizione con la mia. Io ho scritto "che Cheyenne alla fine accetta di rinunciare a se stesso per trasformarsi in un'altra persona" ed è esattamente quello che hai inteso tu esprimere nella tua visione del finale: "ci regala un altro uomo cancellando in un amen decenni della propria vita". Che si tratti di un ritorno o una trasformazione rimane certamente in sospeso (vista l'attitudine di Cheyenne a darsi da fare per gli altri, di assumersi ruoli che non ha, la bilancia propende per la trasformazione, ma non si può mai dire), l'importante è il risultato finale e su questo siamo d'accordo.

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oh dae-soo  15/04/2012 20:24:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mamma mia, non mi mettere sti spoiler...
Ah, lo sai che quando vengo il tuo compagno mi dovrà deliziare con i suoi piatti sì?

Sì sì, sul finale nell'accezione che hai riportato te siamo sulla stessa lunghezza d'onda.
Io mi riferivo al fatto che

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oh dae-soo  15/04/2012 20:34:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi riferisco a questo tuo passaggio "questo per lenire il dolore profondo di qualcuno che si ha a cuore. Essere per gli altri è l'unico modo per trovare una gioia nella vita, questo sembra suggerire la scena finale."

che mi pare andare in direzione diversa dalla mia.
amterme63  15/04/2012 22:20:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma non penso che sia proprio in direzione diversa dalla tua. In fondo questa tua frase dice forse la stessa cosa: "Meglio tardi che mai, stavolta anche Cheyenne sarà d'accordo, perchè quel sorriso, alla fine, esce fuori anche a lui."
Quindi anche Cheyenne trova la felicità nella felicità altrui. Almeno io ho visto così.

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oh dae-soo  16/04/2012 11:54:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E no Luca, ti confermo che siamo su posizioni totalmente diverse, finalmente ne ho la certezza.
Cheyenne non si identifica, Cheyenne (o forse John Smith) è il figlio di quella donna, è il fratello di quella ragazza.
Guarda, sono orgogliosissimo di aver capito questo e poi alla fine ti dico perchè.
Basterebbe una scena per puntellare questa certezza, ossia la telefonata con la notizia del padre morente.
A casa di chi arriva quella telefonata?
Dalla moglie che lo dice al figlio.
Come fa ad esser arrivata in quella casa altrimenti?

Ora potrei dirti almeno altre 4 scene in cui si può evincere la mia convinzione ma non ce n'è bisogno.
Non so se hai letto i commenti alla mia recensione.
Ecco, ho l fortuna di conoscere perfettamente un ragazzo (addirittura amico d'infanzia del mio paesino) che poteva contattare senza problemi fonti vicine al regista (diciamo così, molto vicine...).

Ieri ho fatto fare una telefonata.
Ebbene, è proprio come dicevo io.
Te l'ho detto, sono orgoglioso perchè su oltre 100 commenti ho faticato a trovarne uno in linea col mio pensiero.
Cheyenne è il figlio che la donna aspettava da tempo.
Come il padre non lo riconobbe più(ma in senso più civile) così lo stesso per la madre.
Un blocco psicologico, una specie di ipnosi, non lo so, ma quel figlio che conosceva e credeva fosse andato via riesce a riconoscerlo solo nel finale.
amterme63  16/04/2012 17:51:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Guarda che ci credo benissimo a questa tua certezza, ciò non toglie che il significato emotivo, sentimentale della scena non cambi poi più di tanto sia in caso di finzione che di realtà. Diciamo che l'intenzione, il risultato, è quello, sia che finga di essere o che sia realmente.
Per questo ti ho scritto che in fondo -nel suo significato emotivo- il finale come l'ho inteso io e come l'hai inteso tu in fondo coincidono.
Poi il finale è volutamente ambiguo. Può essere certamente come dici tu (e infatti torna), ma ciò non è espresso in maniera chiarissima. E' la famosa tecnica del finale affidato alla sensibilità e alla personale rielaborazione emotiva dello spettatore, il finale "giusto" per questo validissimo film.
oh dae-soo  16/04/2012 20:45:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Certamente Luca, le sensazioni che abbiamo scritto e provato sono le medesime.
Solo che a livello puramente narrativo secondo me il film cambia radicalmente.

Sì certo, ambiguo che più non si può.

Un saluto, a presto!
jack_torrence  30/10/2011 14:50:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
commento interessantissimo da leggere e da rileggere (specie se stai scrivendo la recensione del film! :-P)
L'unica cosa Luca è che non è solo "nouvelle vague" quel tipo di sguardo.


amterme63  30/10/2011 23:13:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ah, e che altro stile sarebbe. Mi interessa. Grazie, Stefano.
jack_torrence  04/11/2011 00:29:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao Luca, scusa, mi sono reso conto rileggendomi che ti devo essere sembrato un tantino saccente, ti assicuro che non volevo.
E'probabile che tu intendessi per "nouvelle vague" il cinema delle nouvelle vague, con riferimento non solamente a quella francese, ma un po' di tutto il mondo: il cinema "moderno", quello successivo al 1960.
Penso anche io che dopo il 1959 si iniziano a vedere tanti autori che gettano lo sguardo su momenti e scene "secondarie" apparentemente prive di importanza, e senz'altro non corrispondenti alla drammaturgia tradizionale (anche del neorealismo, che della nouvelle vague è padre).
Intendevo due cose con la mia osservazione: la prima (banale) è che con la tua espressione "sguardo nouvelle vague" sarebbe stato riduttivo riferirsi alla sola nouvelle vague francese. La seconda invece è che questa modalità di soffermarsi sul "secondario" è diventata immediatamente una modalità internazionale di fare cinema, propria di cineasti diversissimi per latitudine e per caratteristiche autoriali. (Probabilmente anche perché il cinema si è subito e con piacere liberato di modalità un po' imbalsamate e canoniche di raccontare, che, se paragonate alle modalità narrative letterarie, erano ancora più anacronistiche). Da allora, negli ultimi 50 anni, un cinema concentrato sull'amplificazione del minimale e sulla dilatazione temporale ha assunto così tante forme diverse che ricondurlo semplicemente alla "nouvelle vague" mi appare un po' semplificativo.

PS non so perché scrivendo ho continuamente in mente "Dillinger è morto", che può essere un esempio per antonomasia di questo tipo di sguardo in cui il quotidiano è dilatato e amplificato.

Un caro saluto!
amterme63  04/11/2011 08:27:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie, Stefano. Sì, sì, ho capito benissimo quello che vuoi dire e ti do perfettamente ragione. Solo che nello scrivere il commento, nella fretta, ho usato un termine vago e poco preciso ("sguardo nouvelle vague") che poteva essere facilmente frainteso. Hai fatto molto bene a farmelo notare. Comunque vedo che tu hai colto benissimo quello che avrei voluto esprimere.
Attendo con piacere la tua recensione a questo film. A presto.