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THIS MUST BE THE PLACE regia di Paolo Sorrentino

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julian     5 / 10  15/11/2011 02:43:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E siamo al grande salto d'oltreoceano del napoletano Sorrentino, uno che in questi ultimi anni ci ha ammaliato con le sue doti di regista e ha ridato un pò di speranza al rachitico cinema italiano, impastoiato nelle ultraventennali gags dei pastrocchi natalizi, nel patetismo di certe storie famigliari sulle crisi di mezza età, in ridicoli tentativi di richiamarsi al vecchio cinema buono, in parodie, porcherie, adattamenti mocciosiani, incapace insomma di sganciarsi dalla spazzatura televisiva, da quel piccolo malefico schermo che finisce per inquinare anche quello Grande. Era dunque una mossa che tutti aveva lasciato col fiato sospeso: cadrà, ce la farà ? Bè, lo dirò in modo da farla sembrare una sentenza ma questo è solo il mio pensiero: Sorrentino è caduto. Inciampato per meglio dire, ci si può sempre rialzare in fondo.
L'ansia da prestazione è ravvisabile in tante piccole cose; anzitutto "sono stato in concerto a Napoli" dice Cheyenne. Napoli. Sorrentino la butta lì come un'ancora di salvezza nello sconfinato oceano, appunto, come il classico pesce fuor d'acqua che continua a richiamarsi stancamente alla sua piccola boccia di vetro. Vorrebbe tornare lì, al sicuro, ma allo stesso tempo vuole sfidare l'immensità dell'oceano, provare a scoprirsi vincitore o, almeno, sopravvissuto.
Così, pesci a parte, Sorrentino sforna la solita regia impeccabile, due tre frasi da capogiro, scenografie eccezionali, situazioni incredibili, colonna sonora calzante, personaggi Coeniano-Tarantiniani (in riga col nuovo cinema americano, insomma) e cerca di tenere tutto insieme con la storia del road movie, la ricerca di sè stessi, di uno scopo e di un significato in questa vita.
E' inutile dire che il collante non funziona. Tutto esiste indipendentemente dall'altro, tanti bei video musicali messi insieme. E' la perdita totale della logicità narrativa in funzione della forma e la cosa più grave è che non è stato fatto apposta.
Una serie di scene interessanti sono buttate lì come esca, specchietti per le allodole perchè le allodole vi trovino un significato; ma è inutile arrovellarsi: non ne hanno.
Non c'è da essere troppo critici comunque per il buon Paolo: è sempre stato un pò esteta, formale, ci piaceva gigioneggiare con la macchina insomma, caricare all'estremo ogni carattere della sua storia. Qui valica il limite perchè si riduce solo a questo, il suo stile non è più mezzo espressivo ma fine ultimo, ritorto su sè stesso, inutile e banale.
Nel grande salto ci può stare, si può accettare; le influenze del cinema internazionale, di quella parte frivola (è stato fatto, giustamente, il nome di Jarmusch, io ci metterei pure qualche nome di donna) si sentono.
E anche qua l'ansia da prestazione: una strizzatina d'occhio a registi che si sono già imposti internazionalmente non può far male, nel momento del grande salto...