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THIS MUST BE THE PLACE regia di Paolo Sorrentino

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pier91     5 / 10  11/01/2013 12:38:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Spoiler presenti.

Mi pare il film più personale del regista. Non in senso autorale (magari), bensì biografico, emotivo.
Sorrentino ha mostrato un viaggio da lui realmente compiuto. Ci ha messo dentro l' amato David Byrne. Ha costellato il tutto con aforismi che da tempo aveva riposto nel cassetto di scrittore. Per lo più frasi a effetto, anche belle, che cozzano con la sostanza di chi le pronuncia.
I personaggi non dialogano, affermano. Sembrano autocompiacersi delle spacconate che declamano.
Cheyenne non è quel Titta di Girolamo che col suo linguaggio da letteratura emergeva da una vita in ombra. Cheyenne è un bambino di cinquant'anni, a quanto pare(?). Nondimeno dice cose fastidiosamente intelligenti. Come se già avesse capito tutto. Come se fosse conscio sin dal principio delle proprie mediocrità.
Unico spettatore immobile, piangente, nella folla energica che assiste al concerto di Byrne, riprova una volta di più la -già- raggiunta consapevolezza.
Quel che persiste del ruolo stantio di pop star, come si definisce lo stesso Cheyenne, è puramente esteriore, direi futile. Io vedo che non ha alcun bisogno di crescere (non quanto ne abbia bisogno sua moglie, per esempio), eppure tutti intorno a lui sono convinti del contrario.
"Qualcosa mi ha disturbato" ripete, e io sono d' accordo con lui.
Sorrentino ha persino affibbiato a Sean Penn una voce ridicola, tanto per rendere credibile la fantomatica immaturità del personaggio.
Trovo che il vero riscatto sia di coloro che Cheyenne incontra e soccorre. La ragazza riesce ad aiutare il figlio, l' inventore della valigia a rotelle rompe per un istante l' anonimato, l' indiano arriva dove voleva arrivare.
Cheyenne ne ricava la piacevole sensazione di essere utile. Col proprio denaro, col proprio ascolto, col proprio percorso. Irritante, ma ci sta.
Comunque la destinazione del viaggio è molto più rilevante delle tappe di mezzo.
Alla destinazione corrisponde il momento più intenso, l' incontro più bello. L' ex ufficiale nazista è un uomo che ormai desidera solo questo: l' ultimazione di una vendetta in fondo già subita.
La passeggiata sulla neve senza vestiti è una pena fortemente voluta, simbolica ed espiatoria.
Cheyenne infligge una denudazione ben più significativa quando toglie gli occhiali all' "umiliatore", e lo immortala saldo sulla poltrona, nella posa emblematica di un' attesa devastante, lunga tutta la vita (anche C. all' inizio era stato vittima del flash).
Ecco, la scelta lucida di rinunciare all' omicidio è l' unica importante evoluzione del protagonista.
Ogni comparsa alla fine del film sembra aver avuto la sua piccola resurrezione. Cheyenne, dal canto suo, si rinnova attraverso una salviettina struccante, una nuova acconciatura, un vizio adulto, un abbigliamento ordinario.
Insomma assume sembianze più comuni, apprezzabili anche dalla gente stupida. E sorride finalmente contento.