caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI regia di Sidney Lumet

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Zazzauser     8 / 10  28/01/2014 04:34:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"The robbery should have taken 10 minutes. 4 hours later, the bank was like a circus sideshow. 8 hours later, it was the hottest thing on live TV. 12 hours later, it was history"
Quando i film li sapevano fare. Quando i registi erano coraggiosi. Quando le tagline non erano frasi ad effetto ma frasi d'effetto.
Dog Day Afternoon è uno di quei film talmente originali che lascia spiazzati.
Le atmosfere di quell'afoso pomeriggio d'agosto vibrano di realtà pur raccontando una storia talmente assurda da essere vera: nell'estate del '71 un ex-carcerato (Sonny Wojtowicz) si impadronisce di una banca assieme al suo complice (Salvatore Naturale) per rubare il denaro necessario alll'operazione di cambio di sesso del suo amante omosessuale.
L'epoca di fuoco delle dirette TV, l'eredità di un Vietnam prima carneficina ripresa e venduta, le rivendicazioni dei diritti LGBT, la rivolta carceraria di Attica - si respirano gli anni '70 e tutte le sue contraddizioni in questo film. E tutto in uno spazio scenico che si riduce ad una banca e alla strada su cui si affaccia.
E' straordinario come Lumet crei due micromondi così vicini ma così distanti fra di loro: la realtà "interna", dove tutto segue un corso surreale e sin dall'inizio tragicomico - l'empatia che si sviluppa tra i rapitori e i rapiti, le frequenti scenette con le commesse - e quella "esterna", quella dei dispiegamenti di polizia esagerati, dei media, dell'opinione pubblica e delle folle chiassose e incontrollabili.
E' proprio questo il tema di fondo: la società odierna e la capacità di distorcere la realtà a suo piacimento (Sal che viene dichiarato omosessuale dalla stampa) per costruire il proprio show circense e vendere lo scoop.
Diventa quindi impossibile - o meglio inutile - per un regista cogliere una verità dei fatti plasmata dalla Storia secondo troppi punti di vista (le masse, i media, i protagonisti stessi).
Al Pacino è immenso nel delineare il suo personaggio, un padre di famiglia che sa ancora cos'è il vero Amore e vuole dimostrarlo, a scapito dei giudizi della gente. Le scene del testamento, dell'incontro della madre, della telefonata con Leon esternano tutto il tormento di un vero eroe (come d'altronde lo era Serpico) e gli apici emotivi di una storia sulla diversità e sulla sofferenza.
Certo, lo stile inusuale può spiazzare - chi mai si aspetta un crime senza spari e pieno di battute? - ma la lucidità e la freddezza con cui Lumet affronta le proprie tematiche sono un esempio di forte autorialità.
L'unica cosa che non mi è piaciuta: lo sbrigativo finale.
Ma a parte ciò, questo sì che è grande cinema di Hollywood.