caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

PICCOLO GRANDE UOMO regia di Arthur Penn

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
amterme63     8 / 10  27/12/2010 17:57:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo film ha una grande importanza perché ha fornito il modello per tanti altri film di successo, fra tutti "Forrest Gump". Essendo il primo della serie, bisogna dare atto allo sceneggiatore e al regista di avere fatto un lavoro più che egregio. Il film è lungo, la storia assai poco verosimile, i messaggi sono veicolati in maniera semplificata, ma il tutto è amalgamato in maniera molto affascinante, soprattutto divertente e ironica.
Il meccanismo principale del film è provocare l'identificazione piena dello spettatore nel protagonista assoluto e partecipare così in prima persona ai suoi atti e alle sue decisioni. Il personaggio principale viene fatto assomigliare volutamente a una persona media con difetti, debolezze (come una persona "normale") e un'apparenza perdente, per poi fargli rivelare doti inaspettate che esaltano e inebriano di riflesso lo spettatore che si è identificato. Debole, forte, serio, faceto, epico, ironico si mescolano di continuo e si integrano a vicenda in una miscela originalissima che sarà poi ampiamente imitata e sfruttata dalla Hollywood di fine XX secolo.
Questo tipo di approccio artistico ha origine dalla grande tradizione letteraria del racconto picaresco e del romanzo di formazione (da qui tutte le coincidenze fortuite, il ritrovare casualmente personaggi persi di vista, nel frattempo trasformati in maniera insolita). Il tutto però ripassato in salsa americana, con un occhio di riguardo alle vicende storiche a stelle e striscie, viste secondo lo spirito dei tempi. Questo tipo di pellicole, in maniera indiretta, ci dicono tantissimo sulla mentalità diffusa nel momento in cui sono state girate.
"Piccolo grande uomo" nacque in quel periodo particolarissimo della storia americana in cui si cercò di rovesciare, o perlomeno di mettere in serio dubbio, i principi portanti della società (supremazia razziale e civile bianca, preminenza etica della religione e della famiglia, valore supremo della ricchezza e della sicurezza materiale individuale), senza però riuscirci in pieno.
Il film chiaramente mette la società indiana e i suoi valori portanti al di sopra della società "bianca". L'etica religiosa puritana viene dileggiata e fatta passare per un paravento ipocrita, vista la grande viziosità e morbosità del vivere "bianco", rispetto all'accettazione e alla valorizzazione di tutti gli aspetti del vivere umano da parte degli indiani (c'è posto addirittura anche per l'omosessualità). In questo si nota senz'altro un certo idealismo e una certa forzatura. Gli Indiani non sono ritratti per quello che sono, ma per quello che si immagina o si vuole che siano. La società indiana diventa in altre parole la proiezione delle utopie che tanto circolavano all'epoca. Del resto il modo di fare indiano segue schemi e parametri di natura soprattutto "bianca".
Comunque alla fine prevale un certo distacco da tutto, una sensazione di fato, di avvenimenti che si svolgono sopra la testa, automatici e quasi incontrollabili. E' l'ironia suprema di tutto il film, che oltre a colpire tutti indistintamente, colpisce pure il protagonista, sballottato di qua e di là, da un campo all'altro, secondo le occasioni e le opportunità. Insomma il proprio destino non è tanto nelle proprie mani, ma in quelle di Dio o del fato o chi per loro. Comunque il cinema ci dipinge la casualità e l'imprevidibilità della vita come qualcosa di avventuroso, divertente, affascinante.
Se non altro ci riesce.