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L'UOVO DEL SERPENTE regia di Ingmar Bergman

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amterme63     7½ / 10  30/03/2011 22:39:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E' forse il film più cupo e spaventoso che abbia mai girato Bergman. E' pure il film più "politico" del regista, dove prende decisamente e con forza le distanze da ideologie di natura razzista e anti-umanista.
Fin dalle prime immagini silenziose in bianco e nero al ralenti di volti di gente comune che cammina si ha come la sensazione di straniamento, angoscia, spersonalizzazione. Come nel film "La vergogna" si vuole indicare che gli individui presi in sé sono solo oggetti senza valore, senza identità, senza dignità, vittime di forze, eventi, idee su cui non hanno il minimo controllo e che possono solo subire.
La storia si svolge a Berlino durante i tristissimi giorni del 1923, quando la moneta perse completamente valore, regnava la paura, il panico e la sensazione di disastro imcombente. Era la Germania di Brecht, dei quadri di Grosz e Kokoschka: pochi ricchi e tanti poveri, mendicanti, prostituzione, violenza e rassegnazione, senso di impotenza.
E' questa atmosfera tetra, claustrofobica, di disgrazia collettiva a cui nessuno sfugge che domina dalla prima all'ultima scena. Bergman si adegua ai gusti "liberali" e dark del tempo (i tardi 70) e infarcisce il film fin dall'inizio di scene e immagini al limite del gore, piuttosto insolite per la sua filmografia. Dove non viene apertamente mostrato, viene raccontato e l'effetto non è meno orripilante e angosciante.
I protagonisti ricalcano quelli di tanti altri film di Bergman, sono cioè artisti disoccupati o in decadenza. Sono ritratti però in maniera più "degradata" del solito. Abel (un David Corradine fuori parte) si ubriaca di continuo e fa vita scioperata, frequentando i bassifondi di Berlino. E' un carattere che non disdegna opportunismi anche a danno di chi si prende cura di lui (come il protagonista di "La vergogna"). Insomma nemmeno lui è esente dalla decadenza generale. Se c'è un carattere buono è quello di Manuela (Liv Ullman), buona, altruista, subisce umiliazioni ma non smette di sorridere, di essere gentile, di aiutare. Ma anche lei però ad un certo punto non regge la tensione (la solita insonnia e le cose che vanno sempre peggio) e scoppia in uno sfogo isterico. E' una situazione già vista nei film con la Ullman e Max von Sidow.
Di diverso c'è però l'ambiente che li circonda, il vero protagonista del film. C'è una Berlino tetra, cupa, impoverita, impaurita, preda di fanatismi e violenze contro gli ebrei. C'è la polizia impotente a mantere l'ordine ma che perseguita e vessa il singolo cittadino. C'è infine l'inquietante, labirintica e rabbrividente clinica del dottor Vergerus.
Nel finale il film (che spesso si è perso in scene interlocutorie) ha una specie di impennata e diventa decisamente horror. Ci sono discorsi, immagini, scene che non si scordano. Ancora una volta Bergman ci ricorda che tutto (scienze, politica, destini collettivi) è nelle mani di un essere debole e imperfetto quale quello umano, il quale spesso rincorre sogni folli dove la sete di conoscenza e di potere si trasforma in morte e dolore. Il dottore, che studiava e filmava persone sottoposte a situazioni estreme e orribili, si suicida guardandosi allo specchio per studiare le proprie reazioni. E' una scena che non dimenticherò mai. Anche la mdp (con il suo voyeurismo latente) viene quindi messa sul banco degli accusati come complice della follia umana.
Il film lascia addosso un'angoscia fortissima, è carico di avvertimenti, di presentimenti di catastrofi, di distruzioni. E il presente non è certo rassicurante!