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L'ULTIMO IMPERATORE regia di Bernardo Bertolucci

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gerardo     8½ / 10  23/10/2009 21:52:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bernardo Bertolucci, nel pluripremiato L'Ultimo imperatore, come in Novecento, ripercorre buona parte del secolo scorso e della guerra civile globale che l'ha attraversato. Lo scenario si sposta dalla provincia emiliana alla Città Proibita di Pechino, alla Cina che dall'impero in declino approda, attraverso le guerre civili interne, alla Repubblica Popolare guidata da Mao. L'imperatore Pu-Yi, ultimo discendente della dinastia Qing, originaria della Manciuria e che aveva secoli prima soppiantato i Ming, è un prigioniero permanente sotto ogni regime. Incoronato imperatore a 3 anni resta al potere solo altri tre: i "Signori della guerra" prendono in mano il controllo del paese, lasciando le vestigia dell'impero limitate alla sola Città Proibita, come fosse una sorta di museo-riserva dell'istituzione imperiale che ne perpetua il simulacro, ma in concreto utile soltanto agli interessi della casta di privilegiati servitori dell'imperatore che all'interno di quelle mura vivono e prosperano, assolutamente lontani ed autoesclusi dal mondo esterno, dagli eventi politici, dalla civiltà (occidentale) e dal progresso che avanza. Pu-Yi è imperatore venerato entro quelle mura, fuori ormai è un perfetto nessuno. Tutti all'interno, approfittando della giovanissima età dell'imperatore, impediscono al sovrano di varcare materialmente e politicamente la porta della Città. Il nuovo precettore inglese di Pu-Yi, colto e raffinato, diventa così l'unico contatto col mondo esterno e con la modernità, con la cultura occidentale, mentre egli è relegato a un universo medievale anacronistico e storicamente, culturalmente e politicamente sconfitto. Ma anche la stessa amata figura di Johnston, il precettore, resta ancorata a un’ambiguità di fondo che è propria delle potenze occidentali nel rapporto con l’oriente, e in particolar modo dell’Inghilterra che tanto aveva contribuito nel corso dell’800 all’indebolimento dell’Impero cinese (attraverso le Guerre dell’oppio, il colonialismo e la penetrazione commerciale e militare all’interno della Cina). Pu-Yi non ha nemmeno la soddisfazione di uscire dalla sua dorata prigionia di propria spontanea volontà: sarà costretto ad abbandonare la Città Proibita in seguito al precipitare rovinoso della struttura di facciata dell’impero e a vivere tentando di districarsi nella complicata vicenda delle guerre civili e delle alterne alleanze e contrapposizioni tra il Kuomintang e i comunisti, per la riconquista del Nord, la Manciuria, e in funzione antinipponica. Pu-Yi anche questa volta resta prigioniero metaforicamente del potere di altre forze e infine degli odiati nemici giapponesi. Stretto biograficamente al suo senso del potere, pur essendone irrimediabilmente lontano, Pu-Yi crede ancora di poter riconquistare il posto che sente suo a capo di un impero che non ci sarà mai più e finisce per diventare un fantoccio nelle mani dei giapponesi.
Quando alla fine della Seconda Guerra Mondiale è catturato dai russi e consegnato, qualche anno dopo, ai comunisti di Mao vittoriosi sul Kuomintang di Chiang Kai-shek, Pu-Yi è un prigioniero a tutti gli effetti, come nemico della patria e del popolo. È forse quello il momento in cui Pu-Yi prende realmente piena consapevolezza della propria condizione, che tutto è compiuto e che la Cina medievale di cui egli è stato ultimo depositario è ormai estinta per sempre. Per le strade della Pechino in piena rivoluzione culturale Pu-Yi si confonderà alla immensa folla di operai e contadini che popola la metropoli.