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MELANCHOLIA (2011) regia di Lars von Trier

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Invia una mail all'autore del commento williamdollace     10 / 10  24/10/2011 10:20:07 » Rispondi
La borghesia imbellettata in un circolo polare emotivo di cravatte soffocanti, il matrimonio che non trova che una strada impervia ingombrante e impraticabile (emblematica la scena post-prologo: dove la carrozzeria luccicante dell'entusiasmo è già ammaccata), il denaro fuori luogo come l'ambizione del Martirio dell'Ostentazione, il marito inconsistente Manichino di belle fattezze Vampiro d'analfabetismo emotivo, Il Grande Capo che perde bava dallo Specchio dell'assenza d'idee, il Padre inesistente che confonde se stesso nei nomi delle Betty di turno, inadeguato e volatilizzato, la Madre ******* rabbiosa e dolosa: tutto è riversato sul falò della bocca di fuoco del capolavoro di Lars von Trier, la nevrosi della coercizione e della regolamentazione da catalogo numerato sfregiata in piena faccia da una vasca da bagno d'acqua calda e dal silenzio sotto i quali si agitano le marionette delle convenzioni le cui maschere crollano e si spezzano sotto le picconate dell'incedere della macchina da presa di Lars, ebbene sì: L'Orrore, L'Orrore.

I "maschi" di Lars sono accessori da bigiotteria che passano sullo schermo senza lasciar alcun segno e subito se ne vanno, senza bile ferire, con i pantaloni abbassati, ridicoli nella loro imbarazzata nullità, ***** da cavalcare in un prato: il destino dell'umanità sguardo-guidato fino alla sua imperiosa fine da rumore bianco è Donna, l'Universo bi-pianeta è Donna, e Lars von Trier è tutto nell'esorcizzazione lasciata allo sguardo di Kirsten Dunst, colei che è il Messia, in questo Antichrist al contrario.

Lo sguardo consapevole di colei che "sa" attorno alla quale urla costantemente il Tristan and Isolde di Richard Wagner è un killer che ci libera da ogni orpello, fino alla fine, in una capanna di fierezza in cui far chiudere gli occhi a chi non vede. I suoi occhi trivellano la speranza di un'atmosfera che ci si illude protegga, e in cui anche la scienza risulta sconfitta, in cui anche il sangue caldo da purosangue non vince nemmeno il ponte da attraversare perché se il ponte è la speranza, le batterie della speranza di un ponte inattraversabile sono irricaricabili, ce lo ricorda la grandine dal riflesso blu di Melancholia: non v'è speranza, se non nella bellezza dell'attimo che precede la fine.

La caccia che si percuote sul rettilineo paradosso e fumoso che si blocca sull'impotenza dell'attraversamento è un fiume immobile dove la Sposa dorme ad occhi aperti, inerme. E rinasce Donna, Sola.

Lars von Trier mostra la seconda Odissea eclissando l'albero della vita di Malick, costringendo le sue voice over al silenzio e Mostrando Se stesso Nudo al pubblico, completamente ammutolito dalla Verità.

La collisione è costante e Melancholia è il pianeta affascinante da cui farsi sedurre, spogliare e attraversare sulla pelle nuda, da cui farsi inghiottire, da cui farsi scopare in quest'orgia di sesso cosmico da solitaria danza di morte.