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DARK CITY regia di Alex Proyas

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     6½ / 10  28/04/2011 04:05:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ogni notte, allo scoccare della mezzanotte, il misterioso mondo della Dark City si spegne. Nella città immobile, dominata dal buio della notte, l'unico suono è quello della voce fuori campo di uno scienziato, che si muove storpio ed agitato tra macchine ferme e gente come addormentata, apparentemente immune a ciò che sta accadendo, raccontandoci di alieni morenti e del suo tradimento nei confronti del genere umano. Nel frattempo, un uomo si sveglia nudo e disorientato in una vasca da bagno, ignaro di dove si trovi e di cosa sia successo...
E' con questo folgorante inizio in medias res che, quattro anni dopo aver girato "Il corvo", il film con Brandon Lee diventato ormai più che un cult una leggenda, Proyas ritorna ai suoi amati toni dark dirigendo questo thriller di fantascienza chiamato Dark City.
La messinscena di per sé è ottima, molto ben ricreate le scenografie, le ambientazioni, i costumi, l'uso delle luci e la fotografia, la trama è coinvolgente e ricca di suspense e butta sin da subito lo spettatore in un concitato vortice di mistero, che rende il film molto piacevole da seguire. Quello che convince poco, però, è che ad una lettura più attenta ci si accorge che a ogni fotogramma c'è qualcosa che sa di già visto, e che alla fine del film si ha l'impressione di aver assistito a null'altro che un mash-up di echi letterari e cinematografici pescati a manate dalla cultura letteraria e visuale precedente:
1) L'ingombrante eredità di Philip K. Dick si avverte praticamente ovunque, a partire dalle tipiche ambientazioni a metà fra il gotico, il noir anni '50 - basta guardare il classico "detective in impermeabile" William Hurt - ed il cyperpunk (atmosfere predilette dallo scrittore), per arrivare alle tematiche affrontate - l'idea di una realtà fittizia e costruita (la cui rivelazione tralaltro si manifesta con il consueto "strappo nel cielo di carta" pirandelliano, già visto in film come The Truman Show), la falsa memoria indotta (il racconto "We Can Remember It For Your Wholesale" - lo stesso di Total Recall di Verhoeven - mi dice qualcosa), lo scienziato "scelto" dalle forme aliene per le sue conoscenze superiori ("Fair Game" - ovvero Selvaggina Pregiata). E' anche vero che il biennio '98/'99 manifesta quasi un'esplosione di film più o meno eredi dell'universo letterario di Dick (Il tredicesimo piano, eXistenZ, The Truman Show e Matrix i più famosi) ma se questi paiono riuscire a svincolarsene con sceneggiature in certi casi indiscutibilmente geniali ed originali, Dark City sembra quasi esserne schiavo
2) Le architetture della città sembrano prese per metà dai progetti futuristi di Sant'Elia e per metà dai palazzi futuristici di Metropolis di Lang
3) L'intero impianto visivo è di stampo nettamente fumettistico, abitudine abusata che maltollero. Gli alieni in particolare, per quanto ben resi, sono fin troppo macchiettistici e stilizzati (Nosferatu di Murnau vi dice niente?), ed il loro modo solenne e recitoso, da tipico villain da fumetto, li rende alla fine piuttosto irritanti.
Anche a livello di sceneggiatura si riscontrano dei problemi. L'inizio folgorante in medias res si rivela un'arma a doppio taglio: all'inizio sembra essere un buon modo per coinvolgere di più lo spettatore, ma alla fine si rivela un approccio troppo frettoloso e veloce ad una vicenda che aveva gli spunti per sviluppare un background più ampio e più stimolante, e che invece risolve in un finale roboante ma troppo breve che lascia la sgradevole sensazione che dopotutto le tessere del thriller non siano state ricomposte del tutto e che molto sia stato lasciato in sospeso.
Certamente Dark City ha anche i suoi lati positivi: un anno prima del boom dei Wachowski con Matrix ne anticipa lo spirito (gli alieni tutti uguali ricordano gli agenti capitanati da Smith) e si avvale di distinte interpretazioni, a partire da Rufus Sewell, che si muove bene nel suo ruolo da protagonista, passando per la bella e brava Jennifer Connelly per arrivare a William Hurt e Kiefer Sutherland.
Ma in generale è un film che, pur pieno di potenzialità, è zeppo di pesanti debiti artistici che una sceneggiatura sommaria non è capace (o non vuole) rielaborare abbastanza.
Dick  26/08/2018 22:36:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"E' anche vero che il biennio '98/'99 manifesta quasi un'esplosione di film più o meno eredi dell'universo letterario di Dick (Il tredicesimo piano, eXistenZ, The Truman Show e Matrix i più famosi)"

Già! Devo ammettere che non ci avevo mai fatto tanto caso.