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UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO regia di Elia Kazan

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amterme63     8½ / 10  25/01/2007 23:27:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non si può fare a meno di notare l’origine teatrale del soggetto del film. In pratica la storia si svolge tutta fra 4 mura. Più che costituire un limite, il regista sfrutta quest’aspetto per dare alla vicenda un’atmosfera claustrofobica, come se mancasse qualsiasi valvola di sfogo. Tanto più che tutto si svolge prevalentemente di notte, con la luce che gioca sempre in contrasto con il buio per illuminare impietosa i recessi torbidi dell’animo dei personaggi.
Siamo a New Orleans che è un po’ la Napoli degli Stati Uniti. L’ambiente è popolano, “sgarruppato”, ma tutto ciò non serve per denunciare le condizioni economiche e sociali (come avrebbe fatto un film italiano dell’epoca) ma per rappresentare un atteggiamento esistenziale, psicologico (un vivere rozzo, semplicistico, anche un po’ intollerante). E’ lo sfondo per il significato universale del film: l’incomunicabilità fra le persone, la difficoltà di convivere, l’inautenticità dell’essere.
Questi concetti così astratti diventano dolore, conflitto e infelicità nel personaggio di Blanche, la protagonista del film. Un personaggio molto complesso, pieno di sfaccettature, avvolto nel mistero, tanto più che il film non ce la fa a svelare appieno la sua vera natura. La prima cosa che salta all’occhio è il suo circondarsi di una bella apparenza: vuole sembrare bella, giovane, brillante. Si vuole distinguere, mostrare belle maniere, nobili interessi ma il tutto fatto in maniera non spontanea, artificiale, a volte eccessiva e fuori luogo. Ci si accorge subito che cerca di coprire e nascondere la sua interiorità con uno sforzo che la consuma, che la porta all’ansia, alla mania. Cosa nasconde? – si domanda chi la circonda. Lei malvolentieri rivela pezzetti di una storia tristissima, anche questa fatta di incomprensione e rimorso, mentre altre fonti – bollate da Blanche come maldicenze – raccontano di una vita disordinata e poco seria. In realtà il suo atteggiamento poco sincero è un’alternativa alla solitudine, al nulla, al fallimento; è un’autodifesa necessaria non un deliberato inganno verso gli altri.
Chi non capisce questo atteggiamento (o fa finta di non capire) è Kowalski, il cognato di Blanche. Anche lui a suo modo recita una parte nell’ambiente in cui vive. La sua apparenza è quella dell’uomo rude, forte e bello che comanda e fa felici le donne; uno che sfoggia le peggio maniere per darsi un contegno, un valore, un po’ come fa Blanche con le belle maniere. In pratica i due si assomigliano e ognuno vede nell’altro i propri difetti rappresentati alla rovescia. Per questo si odiano e in fondo si attraggono. Solo che Kowalski rivela alla fine una natura violenta, un po’ sadica e soprattutto egoista, che lo porta quasi a torturare impietoso Blanche, togliendole tutte le illusioni e facendola precipitare nel baratro che lei aveva cercato in tutti i modi di evitare.
L’unica persona “sana” è forse Stella, la sorella di Blanche. Capisce la psiche di sua sorella e di suo marito, ma rimane come schiacciata fra i due, incapace di conciliarli e di farli convivere. In fondo anche lei rimane sconfitta, impigliata nella matassa inestricabile dei rapporti fra le persone, con la loro insincerità e cattiveria.
Un film così teatrale si regge soprattutto sulla recitazione degli attori. Marlon Brando rende Kowalski in maniera perfetta, convincente e spontanea, in tutti i suoi difetti e sfumature. Vivien Leigh rende Blanche come una diva di Hollywood in disgrazia (mi ha fatto pensare alla Swanson di Viale del Tramonto), la rende troppo teatrale, troppo personaggio dei film anni ’50. Bisogna dire che è un ruolo difficilissimo da interpretare e che si presta a mille sfumature e quindi direi bravissima anche lei. Purtroppo alla lunga il film è forse un po’ pesante, ma questo è solo il mio gusto personale.