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FAUST (1926) regia di Friedrich Wilhelm murnau

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kafka62     7 / 10  09/05/2018 13:36:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Faust" è un'opera diseguale e contraddittoria: allestita secondo gli inconfondibili codici stilistici dell'espressionismo, ma con un senso dello spettacolo tipicamente hollywoodiano, che banalizza istanze ideologiche, estetiche e culturali, essa sta alla grande tradizione del cinema tedesco come i film di Carlo Ponti con la coppia Loren-Mastroianni possono stare al neorealismo italiano. Murnau è un grande regista, forse il più grande dell'intera epoca del muto, ma il pastiche grondante kitsch e melodramma con cui si è voluto tradurre sullo schermo il capolavoro goethiano è chiaramente lontano dalla sua raffinata sensibilità artistica. Così, accanto a sequenze memorabili (l'affascinante volo di Faust e Mefistofele sopra il mondo, con la macchina da presa del regista che carrella lentamente su plastici di montagne, valli e città dall'impressionante resa realistica) e a episodi di innegabile potenza evocativa (l'intera sequenza della pestilenza, in cui morti strazianti, folle in preda al panico e predicatori invasati contrappuntano, con immagini di grande densità e suggestione figurativa, la dolorosa impotenza di Faust e i suoi laceranti dubbi su fede e scienza, oppure quella in cui la reietta Margherita vaga in mezzo alla neve, alla disperata ricerca di un riparo, stringendo al seno il suo bambino), si registrano imbarazzanti cadute di gusto (l'idillio tra Faust e Margherita sembra la scialba copia di una cartolina illustrata degli inizi del secolo, Emil Jannings, con le sue smorfie ridicolmente eccessive e i suoi antiquati vezzi istrionici, è a dir poco, l'epilogo è manierato e retorico quasi quanto il posticcio happy end de "L'ultima risata".
A tratti risulta evidente come Murnau cerchi di dare una intonazione ironica e grottesca a un materiale per troppi versi enfatico e lezioso (ad esempio, il regista intercala la storia d'amore tra i due giovani, piena di giovanile ed immacolata purezza, con la schermaglia sentimentale tra Mefistofele e Marta, la quale ha la grana grossolana e volgare di un vaudeville di infimo ordine), ma ciò non fa che aumentare l'impressione di disomogeneità e di confusione stilistica del film. A salvarlo da un giudizio troppo impietoso, vi sono per fortuna, oltre alle sequenze citate più sopra, alcuni irrefutabili punti di merito: in primo luogo, la scenografia "di cartapesta" di Robert Herlth e Walter Rohrig, che si rifà in parte al caligarismo (la stretta e ripida viuzza che porta all'abitazione di Margherita, i tetti scoscesi e asimmetrici delle case adiacenti, lo studio da alchimista di Faust), riesce a stilizzare in maniera discretamente efficace l'ambientazione medioevale del film; secondariamente, la fotografia di Hoffmann sa valorizzare con sapienti giochi di luci e di ombre i momenti di maggiore intensità emotiva, sfruttando altresì lo sfondo (spesso scuro) come uno schermo contro il quale far risaltare volta a volta le figure di Faust e Margherita; infine, la grande sensibilità pittorica di Murnau permette di creare un substrato culturale di non disprezzabile profondità (anche se sostanzialmente estraneo al contesto diegetico del film), in cui abbondano le citazioni dai maestri del passato (segnatamente Raffaello, alle cui Madonne sembra ispirarsi il personaggio di Margherita, Dürer e Mantegna, oltre che, più genericamente, i fiamminghi e i preraffaelliti).