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PERSONA regia di Ingmar Bergman

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Matteoxr6     5 / 10  13/02/2016 22:33:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Premetto che ho voluto leggere una ventina di commenti a caso per capacitarmi di una media così alta e soprattutto costante da parte della stragrande maggioranza degli utenti che hanno votato. Ovviamente il 95% era composto da commentatori che fanno cose e vedono gente; alcuni vengono pure ospitati spesso, per cui stendo un velo pietoso e sorvolo. Ci sono un bianco e nero molto ben curato e una tecnica ottima (1966). Il contesto è puramente metacinematografico all'interno del quale (e sotto questo aspetto mi trovo pienamente in sintonia con un utente del quale non ricordo l'alias) vige una turbante e violenta osmosi tra tesi (Alma) e antitesi (Elisabeth).

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER. Sul piano psichico viene rincorso il trittico Es Io e Super-io in maniera lampante durante il racconto

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER. Da qui spiegato anche il lato della personalità che porta a chiudersi (al mutismo, addirittura) da parte di Elisabeth, il lato della personalità segnato e in un certo senso anche temprato dall'impatto con la realtà, con la società (ecco che la censura conscia e inconscia della volontà di abortire e del rapporto col figlio assumono una rilevanza e una spiegazione più delineate e vivide). Ho letto di come il critico Kezich abbia esaltato la chirurgia con cui Bergman ha messo in scena il suo soggetto. Pure Moravia lo mette in risalto, ma in senso negativo, in quanto dona un eccessivo segmentismo alla sceneggiatura nella sua globalità. Mi trova d'accordo (chissà come sarà contento) e aggiungo che per me questo non è Il Cinema, ma solo un esercizio sperimentale. Nessuno pretende che Bergman abbia una cultura della filosofia pratica atta a delineare attraverso una pellicola il più profondo intreccio metafisico che attanagliava Kierkegaard o Freud o Hegel: primo, perché naturalmente è una mosca al confronto (lo so, è così ovvio e banale che rimarcarlo sembra brutale, ma il fatto è che qualcuno che fa cose e vede gente se ne scorda spesso e volentieri); secondo, perché se anche fosse un maestoso filosofo con visionarie capacità di professare attraverso il cinema, un'ora e diciotto minuti scarsi di pellicola non permettono, intrinsecamente, di elaborare davvero una mole così notevole di quesiti esistenzialisti. Se il risultato è un abbozzo molto poco cinematografico e indigesto (prima di indignarti e sbraitare, rileggi la parte sul segmentismo artefatto) di un'analisi bignamesca esistenzialista che, permettetemi, non ha proprio niente di eccezionale, anzi...allora è bene segnalarlo. Ma, dunque, è lecito provare? Sì. È accettabile fallire? Ci mancherebbe, eccone la prova.