ULTRAVIOLENCE78 8 / 10 01/03/2009 13:34:15 » Rispondi Ne “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” rifulge alla grande tutta la vena artistica di Peter Greenway, altresì noto –prima ancora che come cineasta- nella veste di pittore: ne è dimostrazione la scenografia fastosa, imponente, curata nei dettagli, ove luci e colori generano un’atmosfera a dir poco suggestiva, nella quale i numerosi e lunghi piano-sequenza mettono in risalto l’impostazione teatrale dell’ambientazione e della narrazione (peculiarità che, insieme con la suddivisione in capitoli, verrà riproposta da Lars Von Trier in “Dogville”). Forse eccessivamente intellettualoide nel modo di trattare l’intreccio amore-sesso-cibo-violenza-morte, ma indubbiamente intrigante per la prospettiva in chiave grottesca che offre, la pellicola si presenta come nitido esempio di cinema “d’essai” destinato a palati fini. Attraverso forti contrasti scenografici/simbolici (evidentissimi nel passaggio dalla trivialità del convivio all’ambiente immacolato della toilette), Greenway inscena lo scontro tra la brutalità, la volgarità dei sentimenti bassi e la purezza, l’innocenza dell’amore fino al prevalere dei primi sul secondo, come manifestano ampiamente i delitti perpetrati con modalità da contrappasso dantesco, nei quali il fattore determinante è quello della vendetta (chissà quanto il Quentin Tarantino di “Kill Bill” è debitore a quest’opera). La connotazione macabra e “disgustosa” del film (“La grande bouffe” aleggia) sono controbilanciate da un fine sarcasmo nero nonché da un tono surrealista quasi “bunueliano”, i quali contribuiscono a generare il distacco tra gli eventi narrati e lo spettatore (più che la sua immedesimazione), così come già anticipa l’espediente teatrale del sipario posto in apertura.
ULTRAVIOLENCE78 01/03/2009 13:58:01 » Rispondi "i numerosi e lunghi piano-sequenza mettono in risalto l’impostazione teatrale dell’ambientazione e della narrazione". "E della narrazione" non c'entra niente, da eliminare...