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DERSU UZALA regia di Akira Kurosawa

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Tumassa84     8 / 10  18/02/2012 03:55:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il primo film dopo il tentativo di suicidio di Kurosawa Akira. Ed è un film molto particolare, non solo per il fatto di essere l'unico girato fuori dal Giappone.

Il protagonista è Dersu Uzala, un cacciatore mongolo che si trova a far da guida a un gruppo di soldati in esplorazione nella taiga siberiana. Al centro del film vi è il rapporto di rispetto e amicizia che nasce tra lui e il capitano Arseniev. Essi rappresentano rispettivamente l'uomo antico, quasi primitivo, che conserva un legame mistico e ancestrale con il mondo della natura; e l'uomo moderno, più superficiale e disilluso. Ciò non vuol dire che Arseniev sia tratteggiato in maniera negativa, anzi, è un personaggio assolutamente positivo, dotato di indiscutibile buon cuore. Ma è chiaro che se dobbiamo pensare a una gerarchia tra i due, Dersu Uzala risulta oggettivamente in una posizione superiore rispetto ad Arseniev. E il motivo principale è uno: nella bellissima scena di quando i due si perdono nella distesa ghiacciata, solo Dersu è in grado di far fronte all'ostilità dell'ambiente e se non fosse stato per lui Arseniev sarebbe sicuramente morto, sopraffatto dal freddo, dalla fatica e dalla crudeltà dell'infinito. Al contrario, sarà un gesto, naturalmente fatto con le migliori intenzioni, di Arseniev a portare Dersu alla morte: è infatti il fucile di ultimo modello che gli ha regalato ciò che attira l'attenzione del brigante che uccide Dersu. Quindi, se l'uomo antico salva l'uomo moderno, l'uomo moderno uccide l'uomo antico. E' questo il messaggio ultimo che ci arriva dall'opera di Kurosawa se ridotta ai minimi termini.

Dal punto di vista prettamente cinematografico, siamo di fronte a una pellicola di assoluto livello. La fotografia che ritrae con campi lunghi e lunghissimi la bellezza e l'ostilità della Siberia è magistrale, così come di grande spessore è l'interpretazione degli attori, quello che impersonifica Dersu Uzala su tutti. La buona sceneggiatura e il ritmo del montaggio fanno il resto, confezionando un'opera di quasi due ore e mezza che non annoia per nemmeno un secondo. Se i film prima del Maestro avevano perso di smalto e la difficoltà a girare nuovi film era imputabile a un'effettivo calo della qualità dei suoi lavori, oltre a motivi contingenti che riguardano il mercato del cinema giapponese nella seconda metà degli anni '60 e negli anni '70, evidentemente il periodo di depressione culminato nell'estremo gesto non è stato inutile, e gli ha permesso di ritrovare nuova linfa creativa come dimostrerà anche nei lavori seguenti. Bentornato.