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IL CAMMINO PER SANTIAGO regia di Emilio Estevez

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     6 / 10  26/11/2012 10:36:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Premesse straziantii quelle che Emilio Estevez cuce addosso a Tom, sconvolto dalla morte del figlio avvenuta sui Pirenei durante il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela.
Dopo un' introduzione permeata dal giusto pathos, anche se il commissario interpretato da Tcheky Karyo mostra tratti fin troppo favolistici, il film pur evitando di afflosciarsi totalmente non riesce a prendere le distanze da un'impronta quasi documentaristica.
L'imponenza della natura e il misticismo dei luoghi non colpiscono con la dovuta veemenza, come del resto la storia che giunge troppo spezzettata.
La fatica passa in secondo piano come gli aspetti religiosi lambiti in modo incerto, Estevez quindi sceglie di affrontare un percorso laico, affiancando al burbero protagonista le inevitabili spalle, giunte in quei luoghi per ritrovare se stessi e non certo per ingraziarsi Dio e relativa possibilità di un miracolo.
I compagni d'avventura però non aggiungono granchè, mossi da fattori poco stimolanti e tutto sommato spenti, ad esclusione di un James Nesbitt sopra le righe, capace con la sua entrata in scena di far deragliare un attimino dai binari più convenzionali.
Le emozioni che dovrebbero scaturire da un tragitto così suggestivo, ovviamente srotolato in parallelo al viaggio interiore di categorica conoscenza e ricerca del proprio io, sbuca a fatica tra avvenimenti che trascinano lo spettatore stancamente alla fine del cammino.
Estevez non gira male, non racconta una storia sbagliata, eppure sembra mulinare a vuoto non trovando l'essenza delle cose. Mancano il cuore e le motivazioni di personaggi che affollano una pellicola disegnata con amore (soprattutto per il padre, per l'appunto il bravo Martin Sheen) ma senza impeto, come se la moltitudine di elementi trattabili disorienti anziché solleticare.
Che poi far sorbire per intero "Thank you" di Alanis Morissette su scenette itineranti a dir poco banali non è una gran trovata, come non lo sono l' indulgente parentesi tra gli zingari e lo sfogo di Sarah riguardo al suo passato, artificiosamente lacrimevole.
Per fortuna si tralasciano la voce fuori campo e le vedute in stile depliant turistico, azzeccata la metafora tra la professione di Tom e la capacità di vedere oltre, non solo con gli occhi, però non vi è forza nelle immagini e nelle parole, orfane di quelle intime sensazioni forse impossibili da materializzare.