Cagliostro 8 / 10 19/03/2008 04:09:35 » Rispondi Il numero 36 del Quai des Orfèvres è l’indirizzo della sede storica della polizia giudiziaria parigina ubicato esattamente nella Ile de la Cité. Questo è anche il titolo del secondo lungometraggio diretto da Olivier Marchal, che prima di diventare attore e regista ha lavorato nella polizia francese per dodici anni. “36” si ispira a reali fatti di cronaca verificatisi nella Parigi degli anni ’80 ed in particolare alla rivalità fra due differenti brigate della polizia della Capitale francese. Nel film questa rivalità è rappresentata dallo scontro fra il commissario Vrinks (Daniel Auteil) ed il commissario Klein (Gérad Depardieu). Olivier Marchal dirige con mano sicura e con piglio asciutto una vicenda che va ben oltre il puro intrattenimento e che riesce a coniugare sapientemente una trama per così dire d’evasione con un atto di accusa e di denuncia sociale del potere gerarchico ed istituzionale. Nel film non c’è il taglio netto fra buoni e cattivi, ma solo differenti gradi di cattiveria. Non c’è distinzione fra il bene e il male, due categorie che si fondono e si confondono l’una nell’altra (anche se con una incisività minore rispetto a quella della più classica tradizione del cinema noir francese). È vero sì che la vicenda porta a parteggiare per un protagonista piuttosto che per un altro, ma non perché il primo sia buono mentre l’altro sia cattivo, bensì per una naturale sinotticità con la tesi che si vuole dimostrare: ossia l’abominio dell’uso deviato dell’autorità e la corruzione dei poteri gerarchici ed istituzionali. La sceneggiatura è solida e priva di sbavature ad eccezione forse
della prostituta che riconosce Vrinks (in realtà vista la situazione appare assai improbabile che ella lo abbia anche soltanto potuto vedere in faccia)
Il ritmo della narrazione è compatto ed incalzante, ma si concede pause malinconiche e riflessive. È uno di quei rari film capaci di suscitare ancora nello spettatore emozioni forti quali la rabbia ed il disprezzo. Inoltre la scelta di girare la maggior parte delle sequenze esterne nel banlieue o nella zona moderna della Défense in contrapposizione ai luoghi storici e centrali, proprio come il titolo tende a sottolineare, in cui viene amministrato il potere gerarchico ed istituzionale, vuole evidenziare il distacco che separa inesorabilmente i vertici del potere dai luoghi e dalle realtà in cui l’esercizio ed il corretto svolgimento delle loro funzione dovrebbe avere luogo. La fotografia con le proprie atmosfere cupe e plumbee riesce a costruire una città nella città che si trasforma in una prigione a cielo aperto, in diretta contrapposizione della reale prigione in cui è rinchiuso Vrinks fin dall’inizio del film. “36, Quai des Orfèvres” è un noir solido e ben strutturato, dalle atmosfere costruite con sapienza e con buon mestiere. Gli interpreti sono straordinari e regalano al pubblico uno scontro fra titani intenso, teso e vibrante. Un film da non perdere.
Jellybelly 19/03/2010 10:34:40 » Rispondi Ottimo Baldacci, hai reso giustizia ad un film penalizzato da una recensione piuttosto discutibile...
Cagliostro 19/03/2010 10:57:40 » Rispondi Grazie Andrea. la recensione, oltre che discutibile, presenta anche degli errori grossolani relativi alla trama del film come ad esempio: "A conferma potremmo citare alcune incredibili ingenuità della sceneggiatura e del racconto: chi crederebbe mai, ad esempio, che un assassino evaso possa telefonare alla moglie del complice, solo per indennizzarla con denaro, senza pensare che il telefono di lei sia sotto controllo? O che lei, moglie di un famoso poliziotto, sia altrettanto gonza?" adesso è qualche anno che non rivedo il film, ma se ben ricordo, dalla prigione non è evaso proprio nessuno
l'assassino profitta di uno dei suoi ultimi permessi di semi libertà, prima di essere rilasciato, e si affianca un commissario come testimone, per commettere un omicidio che indubbiamente avrebbe ricondotto a lui se lo avesse commesso una volta uscito di prigione. Poi, quando il commissario è arrestato, lui è ormai libero ex lege, ma diventa latitante. la moglie, poi, non può essere definita gonza. si tratta di una donna che già sta vivendo una violenza sociale e psicologica di alto livello. è piuttosto normale che si appigli a qualsiasi elemento che possa aiutarla a liberare il marito.
Jellybelly 19/03/2010 11:04:19 » Rispondi Infatti, hai ragione. È una recensione piuttosto sciatta e superficiale, salvo nell'impostazione iniziale. Che poi, a mio parere, le ingenuità della sceneggiatura sono altre: la principale è quella che citi tu nel tuo commento in spoiler, e le altre sono relative ad una serie di eventi che si susseguono un po' troppo frettolosamente, con poco raccordo: tra la prima parte (incentrata sui rapinatori, definiti come irrintracciabili per mesi e poi sulla bocca di tutti) e la seconda (l'ascesa di Depardieu) il salto è un po' troppo repentino. Ma, ripeto, sono inezie, di fronte ad un poliziesco così teso e compatto, perfetta crasi tra la tradizione anni '40/'50 USA e quella più prettamente francese.