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IL CAVALLO DI TORINO regia di Bela Tarr, Ágnes Hranitzky

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marcogiannelli     8 / 10  11/04/2017 19:55:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Béla Tarr prende spunto da un episodio della vita di Nietzsche per girare una pellicola che è più vicina alla videoarte piuttosto che al cinema vero e proprio. Un cinema di lunga durata, difficile e di ardua comprensione.
La ripetitività della vita umana è al centro della narrazione che, seppure quest'ultima spazi in sei giorni, si riavvolge su se stessa alla fine di ogni giornata. Lo stesso regista dichiara: "Vi è un'insistenza patologica nel riprodurre costantemente le stesse azioni nell'attesa che qualcosa di nuovo accada. È una tendenza tipica dell'essere umano. Quello che ho fatto nel mio film è stato riprodurre la vita." Il film è pessimistico sin dall'inizio e il degrado sarà man mano crescente, cosa riscontrabile su diversi fronti (pozzo, cavallo, brace ecc.). Il domani forse non esiste, e se esistesse non vale più la pena di vivere in questo modo ripetitivo e degradante. Forse vuole rappresentare l'Ungheria e il suo stato sociale, forse è un discorso universale, non abbiamo nessuna informazione su dove ci troviamo, né sembra avere così tanta importanza.
Per la regia Béla si affida al suo punto di forza, ovvero i lunghi piani sequenza, da delle carrellate e delle riprese inusuali. Ed è ben aiutato anche dal sonoro, in cui prevale il vento ai dialoghi, pochissimi, con un monologo in particolare di un personaggio di passaggio che rimanda alla poetica della pellicola, ed un particolare tema musicale ripetuto sovente. La cosa che però risalta maggiormente è la fotografia, che con il suo bianco e nero investe lo spettatore di malinconia e povertà.
Non lo consiglierei a nessuno perché sono 150 minuti di silenzio e di gesti ripetuti all'infinito, aspettando che qualcosa sconvolga la quotidianità e allo stesso tempo che arresti un lento declino che però è inesorabile, come è inesorabile la fine del mondo in Melancholia, come è inesorabile la fine di Walter White in Breaking Bad. E' cinema d'autore con tutti i pregi e i difetti che ne conseguono. Solo per appassionati.