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IL CAVALLO DI TORINO regia di Bela Tarr, Ágnes Hranitzky

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gianfry     10 / 10  09/07/2012 09:18:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A Torinòi Lò: l'Apocalisse secondo Bèla Tarr, il suo Testamento (stando alle proprie dichiarazioni) al mondo della Settima Arte dopo il Monumento eretto con Satantango (1994), passando per Damnation (1988) e Le Armonie di Werckemeister (2000), giusto per citare i titoli che compongono la poetica che porta direttamente a questo suo Ultimo, Imponente e Irreversibile sguardo sul Mondo. Gli ultimi 6 giorni (ma ne vedremo praticamente 5) dell'esistenza terrena vissuti da un padre, sua figlia e un cavallo... quel sopracitato cavallo che portò il filosofo Friedrich Nietzsche alla pazzia... e di cui non si seppe più nulla.
Ed è proprio il Nulla più inquietante (il buio totale), che avvolgerà all'inizio del sesto giorno quella fattoria decadente dispersa tra le campagne, avvolta dalla miseria più nera, dove ogni azione quotidiana diventa quasi un rito di sopravvivenza (la vestizione, l'acqua al pozzo, le patate, la finestra). Il tutto viene ripreso come di consuetudine del regista, con estenuanti ma ipnotiche carrellate e piani sequenza: fin dalla prima inquadratura (un uomo, un cavallo, 6 minuti di viaggio verso casa), Tarr ci introduce lungo un tragitto in continua discesa, dove il capolinea è rappresentato dal cataclisma più silenzioso che si sia mai visto sullo schermo.
Un luogo, un tempo, un futuro.
Un luogo già escluso dal resto del mondo, spezzato unicamente da due, fondamentali componenti sonore: l'ipnotica e ossessiva soundtrack composta da Mihály Víg, che accompagna con perfetta scansione il continuo e incessante soffio del Vento. Simbolo di una Natura che si ribella con tutta la sua furia al degrado dell'umanità, capace di aumentare con prepotente intensità nel momento in cui la figlia esce di casa per andare verso il pozzo, e di arrestarsi solamente al calare dell'oscurità eterna.
Un tempo indefinibile, anch'esso scorporato dalla quotidianietà odierna, avvolto da una straordinaria fotografia in bianco e nero che sembra farne un film d'altra epoca. Un fascino talmente retrò da rendere The Turin Horse, non solo un modello "anti-hollywoodiano" per eccellenza, ma addirittura una pellicola di difficile inserimento anche in quel cinema contemplativo contemporaneo di cui, in fin dei conti, fa parte.
Un futuro però certo, qualunque sia il tempo o la zona che esso rappresenti. Un futuro da cui è impossibile fuggire: inutile, per padre e figlia, racimolare le poche cose che le restano e incamminarsi, con carretto e cavallo al seguito, attraverso vallate e alberi spogli in direzione di un altro luogo. Dappertutto sarà uguale, in nessun posto ci sarà salvezza! Gli animali lo sanno, ancora dal primo giorno: "i tarli hanno smesso di farlo", pronuncia il padre a sua figlia. Il cavallo ha smesso di mangiare e non vuole più muoversi, esattamente come il cavallo di Justine in Melancholia (2011), che non vuole attraversare il ponte, captando che di lì a poco, la Terra cesserà di esistere...
L'unica cosa che resta di fronte alla potenza della più totale oscurità, è la consapevole e disperata rassegnazione: con lo sguardo rivolto verso il tavolo, davanti a due patate bollite e a un lume che si spegne lentamente...
Capolavoro del Buio e del Silenzio!