caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

IL CAVALLO DI TORINO regia di Bela Tarr, Ágnes Hranitzky

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
elio91     9½ / 10  18/12/2014 22:48:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bela Tarr si era ritagliato già uno spazio considerevole nella cinematografia seria con "Satantango": soprattutto per il coraggio. Pianure ungheresi battute dal vento e dalla fanghiglia, balli indemoniati, nichilsimo esasperato ed esasperante.
Con "Le armonie di Werckmeister" ha trovato il giusto equilibrio del suo stile pesantissimo ma magnetico come pochi altri e la volontà, per quanto oppressa dai pianisequenza e dai gesti reiterati, del narrare, attraverso metafore: merito anche dello sceneggiatore Krasznahorkai. E altro apporto determinante è arrivato dalle musiche di Mihàli Vyg.
C'è stato poi il curioso esercizio di stile "The man from London", che poco aveva da dire ma lo diceva splendidamente.
Ma Bela Tarr avvertiva l'imminenza della fine. E così ha deciso, con "Il cavallo di Torino", di entrare nella storia del cinema dall'entrata principale e non dalla porta di servizio. Ha "sentito" che forse il suo cinema oramai giunto a maturazione, riconoscibile, monolitico, rischiava di mutarsi in parodia di sé stesso.
Allora un testamento in diretta, ecco cos'è "Il cavallo di Torino", un canto del cigno annunciato.
L'ultimo e definitivo film di Bela Tarr è un capolavoro devastante, dolente e apocalittico, in cui non accade niente e accade tutto.
Per godere appieno di questo cinema che tanto, forse troppo chiede allo spettatore non c'è alternativa: prepararsi psicologicamente alle due ore e venti non facili, ma poi lasciarsi rapire da immagini incredibili.
La furia degli elementi, la capanna, il cavallo (di Nietzsche), la macchina da presa che fa i suoi giri vorticosi, qualche dialogo smozzicato o monologhi fastidiosi sul destino dell'uomo (e di Dìo), l'arrivo degli zingari sovversivi (la loro Bibbia), i tentativi di fuga subito abortiti, l'andamento ciclico dei 6 giorni e poi il buio, la fine annunciata.
Il cinema di Bela Tarr è finito, signori. Comincia qui la sua fortuna critica: che già lo considera, non a torto, un maestro.
Si resta ammaliati da un incantesimo diabolico. Con le musiche ipnotiche, "Il cavallo di Torino" (e praticamente tutto il cinema di Bela Tarr da "Disperazione" in poi) ci rapisce in una strana stasi mistica.