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YEONG-JA IN HER PRIME regia di Kim Ho-Sun

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Invia una mail all'autore del commento Elly=)     8½ / 10  01/11/2012 05:07:04 » Rispondi
Caratterizzato da una fotografia scura, YOUNGJA'S HEYDAY, è la storia di una giovane donna le cui prospettive vengono stroncate nella fredda e grigia Seul, una donna che incarna i problemi di un'intera generazione femminile. Kim Ho-sun, al suo secondo lungometraggio dopo aver fatto l'aiuto regista in POLLEN e NIGHT JORNAY, cerca di inoltrarsi in un problema di livello sociale, di cui al tempo nessuno parlava, perchè risultava troppo fastidioso per qualcuno. L'uomo patriarcale, la donna sottomessa, i soldi facili, le regole rigide di una società: questo è altro viene denunciato dal regista coreano, in un'atmosfera issata da un forte maschilismo che rimane però solo apparente, in quanto fra le righe viene messo invece un grande rispetto per la donna. Uno potrebbe dire che il film fu cmq uno scandalo vedendo le molteplici scene di sesso esplicite ma a differenza di noi occidentali, che in quegli anni, gli anni '70, avevamo a malapena un Tinto Brass dalla parte autoriale e le commedie a sfondo sessuale dalla parte commerciale, i coreani, come altri popoli asiatici, avevano una sorta di rispetto per il genere hard-core e quindi quelle scene non suscitarono nessun tipo di scandalo.
I personaggi del film al di là del proprio status sociale sono tutti senza nervo e vivono la propria vita in modo passivo, vedendo così la propria vita come una cosa difficile da cui è impossibile uscirne vittoriosi. Nessun riscatto, nessuna ribellione, l'unico modo per cambiare la propria vita sembra affidarsi a dio ma se nemmeno quello può aiutare è meglio morire.
Il film visto sotto una certa luce può affascinare: il regista fin dall'inizio prende per mano da una parte il pubblico e dall'altra i personaggi del proprio film e li porta a spasso mostrando loro la situazione secondo il suo punto di vista che è molto realistico e ad un tratto si ferma, questo è il punto dove personaggi e pubblico si guardano negli occhi e sono portati a pensare ad un'unica cosa (che se vista al di fuori di tutto questo percorso sembra una pazzia): la visione del film porta gli spettatori a voler inconsciamente la morte dei personaggi per il loro bene e al di là dello schermo sono gli stessi personaggi a voler morire, interpretando la morte come una catarsi.
Il film finisce con la solita inquadratura del tramonto, la realizzazione ancora una volta non è avvenuta e l'impossibilità di amare persiste ad essere una realtà troppo forte per la società coreana di allora.