pier91 6 / 10 24/11/2012 17:15:49 » Rispondi "Detachment" non è lontano da "American History x". Tony Kaye è affezionato alla morte emblematica, all'epilogo enfatico. E' una delle ultime vittime del cinema dell' horror vacui, dunque arranca per riempire i silenzi ed ammazzare i tempi morti. Di fatti il film straborda di parole, ma il vuoto lo raggiunge ugualmente. Complice la penna vittimista che ha steso la sceneggiatura: un ex insegnante. La frustrazione è una bestia crudele, ma non può essere un alibi tanto democratico. Si deve avere il coraggio di affermare delle verità assolute. Per esempio, che alcune persone sono semplicemente dei cani bastardi. Quelli davanti alla cattedra hanno tutto il diritto di presenziare (anche perché fino ad un certo punto vi sono costretti). Meno tolleranza meritano quelli dietro la cattedra. Nonostante tutto, quello di Adrien Brody è un personaggio interessante. Solo apparentemente afflitto dall' impotenza. In realtà il suo è un problema di potenza, o meglio di potere. Il potere che ha un docente quando decide di fare filosofia spicciola, e convince un manipolo di ragazzi che sì, la vita è dura, il mondo va in malora, la bruttezza è più limitante della stupidità…però, in fondo, d'altra parte, non è sempre così. Il professor Barthes non fa che pagare lo scotto della sua ingenua presunzione. "Sono una non-persona" è la battuta più profonda, sagace, pregnante del film. A quest'altezza finalmente assume senso la citazione iniziale di Camus: "Non mi sono mai sentito così profondamente distaccato da me stesso e al contempo così presente nel mondo". Al di là della riconciliazione stucchevole fra il protagonista e la prostituta minorenne, il finale è a suo modo bello (anche se incoerente, come del resto gran parte della storia). Le immagini della scuola devastata da un terremoto inudibile sono efficaci nel loro elementare simbolismo. Toccante la sequenza che ci mostra brevemente le varie solitudini, tutti i personaggi nel momento del ritorno a casa, ognuno con la propria disgrazia privata. Ma più di ogni altra cosa mi sono piaciute le animazioni che intervallano la narrazione. Su tutte, un muro che si innalza mattone dopo mattone, quando Barthes e la collega dai capelli rossi vanno fuori a cena: la comunicazione irrealizzabile.