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DENTI (2000) regia di Gabriele Salvatores

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     8 / 10  06/11/2006 22:08:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film singolare, sottovalutato ma straordinario sul piano dell’inventiva in cui ci vengono risparmiate le ambientazioni dai toni pseudo-dark e la trama dalle tinte retoricamente drammatiche della delusione assoluta di “Quo Vadis Baby?” e che rimane secondo solo al capolavoro “Io non ho paura”. Tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Strarnone, denso di metafore e molto importante anche sul piano visivo, “Denti” è la storia di Antonio, interpretato da uno meraviglioso (ed a tratti esilarante con il suo “Sono stato a Sassari”) Sergio Rubini. I denti sono lo strumento con il quale noi mangiamo, e quindi ci sono indispensabili, ma anche con i quali noi aggrediamo: Antonio non è mai riuscito ad azzannare la realtà che gli era sempre ostile, ma in modo passivo ha sempre cercato di eliminare l’oggetto della sua vergogna invece di sfruttare le sue qualità e servirsene per difendersi. Partendo dalla curiosa premessa che “i ricordi si annidano negli angoli del nostro corpo” il passato riemerge passo dopo passo attraverso l’oggetto che per lui nel presente vuol dire dolore fisico (dopo che gli vengono rotti tutti i denti) ma che nel passato vuol dire ricordo doloroso di un’infanzia che in un certo modo ha voluto quasi dimenticare e che, comunque, lo riporta a quand’era bambino (bellissima anche se non significativa l’immagine dei denti del protagonista paragonati alle colonne di un antico tempio greco che sembrano mordere il cielo, il che conferma la derivazione da un romanzo). Qualche volta è quasi surreale, come ad esempio quando il passato coincide quasi col presente nelle frequenti visioni che ha il protagonista.
Il confine fra questi due tipi di dolore (fisico e “spirituale”) qua è molto labile, primo perché come già detto i denti e le gengive sono organi molto sensibili e poi perché appunto lo riportano ad un passato che fa male.
All’aspetto amaro del ricordo si aggiunge e si oppone quello nostalgico che identifica nella figura della madre, angelo custode, anche nelle fattezze, nei comportamenti e nelle caratteristiche, che lo guida alla ricerca di sé stesso e di quello che era e nel personaggio e lo conforta, e dello Zio Nino (il grandissimo Fabrizio Bentivoglio), fascinoso marinaio dongiovanni con accento napoletano che lo inizia alla vita ed al rapporto con le donne: un rapporto che si rivelerà sempre difficile anche perché ostacolato da un bruttissimo ricordo dai tratti quasi horror-splatter e confermato dai suoi rapporti con Mara (Anita Caprioli) di cui è fortemente geloso (è proprio vero che “l’invidia è magra e pallida perché morde e non mangia”!), mentre la figura del padre è talmente assente che non assume neanche un valore negativo.
Terribile la presenza dei dentisti che assumono il connotato di sadici torturatori come in un qualche romanzo gotico di Poe o Stevenson che però aiutano il protagonista a riaprire i conti col passato e scansando la paura, superare il dolore fisico e quindi spirituale per mettere fine al suo tormento. Certe scene di gengive insanguinate e di Rubini in preda alle convulsioni da dolori acuti mi hanno fatto sentire quasi male…
Questo film anche se gira completamente intorno all’evoluzione del protagonista non stanca mai e non ha nessun momento di stasi né parti in cui l’attenzione cala, anzi è sostenuto dalla successione di fatti non rapida ma costante. In un’ora e mezza tranquilla porta pieni di interesse al rivelare il finale, nessuna ridondanza nei dialoghi, bellissime le voci fuori campo, persino la grafica iniziale e le musiche mi sono piaciute. La prova degli attori secondari è buona, forse si fa fatica a scrollarsi di dosso la comicità inconscia che genera in noi Paolo Villaggio (reduci dell’interpretazione del suo personaggio più famoso, ovvero Fantozzi ), ad ogni modo la sua figura del Dr. Cagnano è inquietante davvero.