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UN GATTO A PARIGI regia di Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     8 / 10  08/01/2015 00:04:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Faccio un incipit apparentemente O.T.: questo piccolo gioiellino l'ho visto in un giorno molto triste, quello della chiusura di una delle migliori sale d'essai delle Marche: il Cinema-Teatro Italia di Macerata che lo proiettava come suo ultimo spettacolo. Dopo anni di programmazione al top della qualità che ci ha permesso di accedere anche nella profonda provincia italiana ai più premiati e/o introvabili film distribuiti spesso dalle più piccole case indipendenti, si spengono definitivamente i proiettori per assurde vicende di ordinaria insipienza politica. La benemerita Associazione che lo gestiva, la Nuovo Cinema, s'è dovuta arrendere di fronte ai costi ma soprattutto di fronte a vicende politico-amministrative che nulla hanno a che vedere con la cultura, poco con i budget a disposizione e molto con i romanzi di Franz Kafka. Una sala d'essai che chiude è come una specie animale che si estingue o una lingua che muore: se ne va una ricchezza di offerta alternativa per appiattirsi tutto sul prodotto super-commerciale che fagocita quel poco che viene fruito.

E mai come in questo caso l'esempio calza a pennello: senza sale d'essai questo piccolo gioiello venuto d'Oltralpe con qualche anno di ritardo rispetto all'uscita nelle sale franco-belghe, non sarebbe mai potuto girare in Italia, schiacciato dai (pur rispettabilissimi e godibilissimi) pinguini targati Dreamworks.

Sorretto da un'ottima sceneggiatura (paradossalmente proprio un punto debole dei citati pinguini) che si appiglia alla geniale idea di un gatto dalla doppia vita; impreziosito da dialoghi serrati e taglienti (idem come sopra), questo "Gatto a Parigi" avvince e diverte grandi e piccini con le sue citazioni cinéphiles, l'inconsueto tratto grafico (che ricorda una via di mezzo tra la Pimpa e il signor Bonaventura) e l'originalità della storia "gangsteriana" dove si parla apertamente e realisticamente di vedovanza (e parallela condizione di orfano dei figli, di una figlia unica nel caso specifico) e di morte, ma sempre con uno spiraglio di speranza e l'immancabile lieto fine.
Belli gli inserti onirici, soprattutto nel pre-finale quando si materializza a mo' di Godzilla l'oggetto dei desideri del pericoloso malvivente protagonista della storia. Decisamente prevedibile e scontato, invece, il commento sonoro che sembra la fotocopia leggermente rielaborata della più classica partitura hollywoodiana di genere, forse la parte meno riuscita del film.
La storia scorre via leggera pur assestando colpi di scena e momenti da autentico thriller-noir, sempre però sapientemente stemperati con momenti onirici o di franco umorismo (il cane che abbaia furiosamente al gatto che passa sul muro di cinta della sua casa ogni notte, beccandosi poderose ciabattate e quant'altro finisca col metterlo a tacere, per esempio); gli inseguimenti sui tetti ammiccano a Hitchcock o a De La Iglesias ("La Comunidad") e il loro esito non è sempre scontato.
Meriterebbe un 7½ tondo tondo ma gli dò 8 per l'accuratezza delle scenografie, il profumo delle atmosfere parigine (bella e ironica la sequenza in cui la Commissaria opta per un inseguimento sui tetti delle macchine all'ennesimo "bouchon" che paralizza le volanti della Polizia), il tratto grafico ma soprattutto per l'insolita ambiguità dei personaggi comprimari (il gatto e il gangster) e per la sfida improba che lancia ai blockbuster di genere.