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I BAMBINI DI COLD ROCK regia di Pascal Laugier

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     6½ / 10  26/09/2012 17:23:20Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'infermiera Julia Denning (Jessica Biel) è una donna bella, dai lineamenti puliti e la faccia d'angelo. Porta lievemente i segni funesti di un matrimonio finito al momento della morte del marito e quelli più chiari di una carne martoriata. Dopo aver fatto nascere il bambino della figlia dell'amica Tracy (Samantha Ferris), grazie all'esperienza acquisita stando al fianco dell'ex dottore della cittadina di Cold Rock, le capita un incidente.

Julia vive in un esiguo centro periferico nel quale, da circa sei anni, si è a diretto contatto con il panico a causa di alcune inspiegabili sparizioni. Oltre una dozzina di bambini sono stati rapiti dal cosiddetto "uomo alto", una figura a metà tra la leggenda e il reale. Qualcuno è scettico e ne sminuisce l'importanza, qualcun altro lo ha visto allontanarsi tra le vaste zone boschive che circondano le casupole e si lamenta che nessuno interviene perché il paese è troppo povero per suscitare l'interesse dello Stato, unico referente istituzionale che potrebbe far luce sul caso.

Pascal Laugier, già regista del noto e celebrato "Martyrs", conferma la sua attrazione per una ricostruzione scenica (curata da Jean carriere) brutta, sporca e decadente, per realizzare la quale va nello Stato di Washington, USA, a due ore da Seattle. Esibisce uno sfavillante côté di riflessi verdolini, mucchi di calcinacci e vecchie insegne che non possono non richiamare la corruzione dell'anima dell'uomo, squallida anch'essa. Nel fare ciò si affranca dalle classiche tinte horror, fornendo quelle aperture necessarie a far entrare un tipo di cinema singolare e un po' sovversivo.

Calatosi nei difficili panni di esperto di suspense, l'autore alimenta l'ossessione e il senso di disorientamento dei personaggi e dello spettatore, grazie a un abilissimo e progressivo spostamento dei punti di vista. La sterilità riproduttiva che sembra aver avvolto il villaggio di Cold Rock (nonostante il parto di inizio film avvenuto in un improvvisato reparto di ostetricia) ne incontra una economica. Acuta nel far percepire il trascorrere del tempo e allo stesso modo il senso del presente, la sceneggiatura lavora di fino sulla miseria nel quale il paese si ritrova dopo la chiusura della miniera.

Occorre molto coraggio e ambizione per caldeggiare con uno scritto di tale fatta un imprinting economico affiancandolo a uno sull'infanzia e l'adolescenza. Pascal Laugier gode di un'identità poetica pressoché esclusiva, cerca di entrare nella sfera privata delle famiglie, esplorando le cause e i risvolti dell'alcolismo, perfino dell'incesto. Si muove tuttavia sul filo del rasoio, quando vuole farsi garante di una genitorialità positiva, conducendo un'indagine, approdante a un'inevitabile giudizio educativo, così spinosa ed equivoca che in parte sembra appoggiare la follia e un'idea di immolazione quantomeno discutibile. Quando ci si muove nell'ambito della psicologia infantile e della psicoterapia familiare ci si trova a che fare con un ciclo di vita delicato e impegnativo, ed è necessario fare i conti con le pratiche, le usanze, le tradizioni e i rituali delle culture di appartenenza.

La facile demonizzazione di "quella cosa con la T" che, tra le altre, dovrebbe giustificare il desiderio, più volte ostentato dai ragazzini, di farsi prendere dall'Uomo Nero e nutrire le loro potenzialità e speranze, è un escamotage che serve per un altro "tradimento" narrativo. Perché le vittime passano poi dietro, o forse addirittura dentro, "quella cosa" (rimandi possibili e molto indiretti a "Videodrome" e "Sotto shock"), fertilizzandola con truccosetti e inni alla vita spensierata (costruendo una rete sociale fuori dagli USA dove interiorizzare meglio le regole culturali?) perché sostenuta dai soldi che fanno addirittura ritrovar la favella.