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AMOUR regia di Michael Haneke

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Terry Malloy     10 / 10  07/11/2012 23:33:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'unica scena che non è girata all'interno della casa dei due coniugi protagonisti di questo film è in un teatro. Il problema di questa scena è che è all'inizio. Ovvero quella parte di un film che nel 2012 la gente, gli spettatori dei cinema di tutto il mondo, pensa non essere importante. Sì perché in fondo che importa dell'inizio di un film? Che cosa mai ci metterà di importante un regista nei primissimi cinque minuti del suo film? D'altronde io ho ancora un sacco di cose da dire alla mia amica, cose importanti, cose sicuramente più importanti di quelle due stupide sequenze che Haneke ha pensato ingenuamente di mettere proprio all'inizio della sua ultima fatica. D'altronde nell'insieme dei fotogrammi che formano una pellicola, almeno due gruppi li dobbiamo sacrificare allo spettatore contemporaneo, dobbiamo chiedere a questi due file: "Scusate ragazzi, vi va di stare all'inizio dell'opera? Vi va di fare gli aprifila?" E quasi li sentiamo, con flebile e seccata voce elettronica, "Dai Michael, dai papà perché tocca a noi stavolta?". Ma un padre deve sapere fare le proprie scelte, anche se i figli non sono d'accordo. Così Haneke decide che una sua scena a caso venga massacrata dall'infantile pubblico cinematografico contemporaneo.
E manco a farlo apposta succede che proprio questa scena, questa vittima sacrificale dell'arte moderna, raffiguri la stessa scena del suo martirio. Si vedono tante facce, tante facce che si siedono e aspettano l'inizio del concerto. Una voce impersonale ed educatamente autoritaria chiede che si spengano i cellulari, al fine di non disturbare la musica che sta per essere chiamata dalle sfere celesti proprio quaggiù, su questo palco. Vediamo che in mezzo a queste facce di comparse ci sono due giganti del cinema di tutti i tempi, ma tu guarda Emanuelle Riva e poi quel tipo che faceva quel film sulle macchine insieme a Gassman, dio se è invecchiato, come si chiamava? ha un nome impronunciabile. Li vediamo assistere qualche secondo a qualche secondo di uno Schubert suonato magnificamente, e li vediamo parlare con il pianista. No, decisamente questi non sono i classici spettatori che tossiscono continuamente e urlano "a noi emiliani ci piace andare al mare!" a un concerto di musica classica (vi giuro che l'ho sentito davvero). No, sono due persone raffinate, due persone che sanno andare oltre alla mediocrità del loro corpo e della loro egoistica modalità di pensiero, della loro res cogitans cartesiana, fino a toccare l'universalità personale e intima di una bagatella che da secoli chiamiamo con la semplice sequenza fonematica "arte".
No. Abbiamo l'impressione che queste due persone la musica la conoscano davvero. E abbiamo l'impressione che nulla davvero possa toccarli. Perché credo che se dopo 80 anni due persone vadano ancora a un concerto di Schubert e siano in grado di cogliere davvero l'incredibile importanza di una cosa così seria come l'arte, in modo che nemmeno i ladri sappiano scuotere la loro angelica (qualcuno l'avrebbe chiamata divina) indifferenza, allora non abbiano davvero alcunché da temere, nemmeno l'infelicità.
No, questi due personaggi, che Haneke ha l'ironia di mettere in mezzo a noi, non hanno davvero nulla a che spartire con l'ammasso di carne e banalità che costituisce la gran parte degli spettatori che hanno visto e vedranno questo film. Perché a un certo punto uno deve chiederselo il perché. Il perché siamo ancora qui a produrre cose come "Amour" se poi dobbiamo farlo vedere ai cani. Mio fratello una volta mi raccontava indignato di aver visto un ragazzo pisciare contro una chiesa del mio paese che risale all'alto Medioevo e costituisce uno dei capolavori assoluti dell'arte emiliana. Ci pisciava contro perché al Sabato sera si beve sempre troppa birra e i cessi dei pub fanno notoriamente schifo, quindi è quasi logico e sensato scaricare la propria ammoniaca contro un monumento la cui importanza estetica e storica è oggetto di studi universitari da almeno quando è nata l'università. Io credo che un film come "Amour" sia destinato alla stessa sorte che quella chiesa ha subito. E badate che non è un problema della chiesa o del film se uno ci piscia addosso (anche in senso metaforico), ma di mio fratello che vede questo scempio. O di tutti quegli spettatori intelligenti che si sforzano - ahimè a noi non va così bene, lo dice anche Anne che l'immaginazione con la realtà ha ben poco in comune - di guardare un'opera cinematografica senza subire la violenza degli altri esseri umani. Uno potrebbe chiedersi come mai io stia parlando solo di questo e non di tutto quell'immenso capolavoro che è il film in sé. La risposta è più ovvia che semplice, ossia che in proposito tutte le cose interessanti e profonde sono state già dette da altri (soprattutto le cose immediate: perché un film del genere merita almeno quaranta visioni e anni di riflessioni), quindi io mi limito a osservare certi fenomeni, e cerco soprattutto di connetterli alla storia che ho visto.
Quello che secondo me è interessante è vedere come Ann e Georges siano un amore davvero, davvero strano. Non si tratta di un amore affettivo. Non si baciano mai, anche se spesso sono costretti a posizioni che presupporrebbero una gestualità di intimità e affetto (quando lui la solleva ad esempio). Spesso si scontrano verbalmente. E alla fine lui la uccide. Non sto dicendo che lui non la ama. Sto dicendo che questo film ha delle sottigliezze retoriche da manuale: il titolo, i fantasmi della moglie. Ma è anche una storia da manuale? Il drammone che il grande autore ormai invecchiato ci propone una volta raggiunta una tale maestria da incantarci quantunque l'opera non sia poi tutta sta originalità? Il Bergman che va sempre bene, tanto è un genio?
No. Secondo me quello che è interessante è che Haneke non ha fatto un film d'autore, ma un film serio. "Vogliamo parlare seriamente, Jeanne?" dice Georges a una figlia di cui non capiamo nulla dall'inizio alla fine. Un film serio significa partire da un titolo come "Amore" e parlare davvero di amore. Una cosa così nell'arte contemporanea è davvero rara. Ce lo aspettavamo da Tolstoj, da Dostoevskij, da Hugo. Non da un regista nel 2012. E secondo me il primo punto fondamentale di questa seria riflessione sull'amore è che è un film d'amore tra due anziani: sono convinto che l'unica cosa che conta in un amore sia la durata di esso. "E' bello avere una vita lunga" (e ricorda quasi The tree of life: "Se non ami la tua vita passerà in un lampo"); alla fine è facile avere un amore struggente e totale quando dura due anni. Il secondo punto è che in modo davvero originale Haneke sembra sottolineare il profondo nesso tra la cultura e il sentimento che lega due persone. Non è un caso che tra le poche scene in cui i due sembrano davvero innamorati è quando parlano di musica. Della loro musica. Quella che hanno saputo far diventare una cosa terribilmente seria e vitale da quello che era un mero gioco intellettuale (come è per tanta gente). Ma ha avuto anche il grande merito di far vedere cosa succede quando la musica non serve più a nulla. Infatti in questo film non c'è nessuna musica e le rare volte che la sentiamo si interrompe con violenza, impedendoci di gustare da appassionati le divine note di Beethoven, impedendoci quell'adagiamento estetico che ci culla quando vediamo un grande film che è accompagnato da una grande musica. Mentre osserva il fantasma di sua moglie che suona un pezzo con la tecnica che solo un grande maestro raggiunge, Georges capisce che quest'esperienza, l'esperienza di condividere una cosa così personale con la donna che ama, non ha più nessun senso. Se Anne è paralitica, Georges è costretto a diventare sordo. "Che succede?" urla allarmata Anne quando Georges smette di suonare all'improvviso. La malattia si prende la prima cosa, la cosa più grande che univa due persone, la cultura. Quella vera, quella bella, quella seria, quella importante. Quella che differenzia due persone dalla massa ignorante e bifolca che al cinema o a teatro ci va per convenzione, per buona educazione, per abitudine, per noia. Quella che magari poi ce la troviamo a orinare contro una chiesa antichissima e preziosa. Wittgenstein diceva che l'arte ci svuota e poi rimette dentro le stesse cose, solo cambiate di segno. Se riusciamo a far sì che avvenga questo autentico miracolo umano, e vi sappiamo aggiungere il coraggio di interrompere la vita della persona che amiamo anche più di noi stessi, possiamo finalmente lasciare la casa in cui abbiamo vissuto per tutta la vita e raggiungere la completezza. La morte non avrà comunque senso, ma ciò che c'è stato prima sì. Ed è l'unica cosa davvero seria e importante.
randalflagg  08/11/2012 08:41:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non ho mai letto un commento così profondo ed esauriente. Complimenti.
Terry Malloy  08/11/2012 10:29:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie!
elio91  11/12/2012 12:25:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ho gli occhi lucidi, non ti ringrazio nemmeno, tanto lo sai.
Terry Malloy  11/12/2012 14:32:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma che amour! Grazie elione.
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  08/11/2012 23:46:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Condivido totalmente quel che dici a proposito di ciò che Haneke mostra: l'Amore, per durare, non può affidarsi solo alla passione ma "a ciò di cui si parla fuori della camera da letto", per parafrasare Oscar Wilde. Non a caso la figlia col matrimonio in crisi sembra non aver capito questo concetto quando confessa al padre che si sentiva rassicurata sentendo lui e la mamma fare l'amore: questo fatto la portava a pensare che sarebbero stati per sempre insieme. Invece no: la passione finisce, resta però ciò che di più profondo si è condiviso. Che diventa nuova passione.
Terry Malloy  09/11/2012 12:44:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie Luca, condivido!