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IL GIGANTE regia di George Stevens

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amterme63     5 / 10  06/04/2008 11:42:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo è il primo classico hollywoodiano che mi ha sinceramente deluso. Ho fatto molta fatica per arrivare fino in fondo alla lunghissima visione. Il fatto è che Il Gigante vuole essere un kolossal senza avere nessuna caratteristica artistica che lo possa far apparire come tale. La lunghezza del film, l’ampliezza del periodo trattato, i fatti di taglio epico, i grandi valori etici rappresentati non sono una garanzia di successo se vengono trattati in maniera un po’ convenzionale, quasi superficiale. Tanto più che in questo film non ci sono interpretazioni intense o indimenticabili, né la tecnica di ripresa o le scenografie risaltano per qualche caratteristica che altri film non hanno.
Il film si rifà ad alcuni grandi modelli senza raggiungere la loro intensità. Ha un ché di “Via con vento” nel trattamento di eventi storici e nel ricreare un modello sociale (in questo caso il Texas), ricalca il tema di “L’orgoglio degli Amberson” nella descrizione di una famiglia dell’alta società alla prese con lo sviluppo economico, scimmiotta i film western con le loro distese desertiche, la sana vita all’aria aperta e le grandi mandrie di bestiame, si riallaccia ai film cautamente progressisti degli anni ’50, dove si cerca di trattare temi politici scottanti in maniera coperta o indiretta. In altre parole si vogliono trattare diversi temi senza approfondirne nessuno.
Prima di tutto il film fallisce nella rappresentazione dei fatti. Tutto avviene in maniera veloce e schematica: quasi sempre basta ai personaggi un paio di sguardi per capire che hanno a che fare con la persona giusta e nella scena seguente assistiamo già alle nozze. Gli eventi si susseguono in maniera frettola e tutto sommato prevedibile e banale. I personaggi non hanno tempo di sviluppare coerentemente e approfonditamente il loro carattere, fatto sta che restano sostanzialmente uguali sia da vecchi che da giovani. Ognuno di loro ha un carattere ben definito, molto rappresentativo e convenzionale. Sono tutti per lo più stereotipi, piuttosto che persone in carne e spirito. E’ una collezione di luoghi comuni nelle tipologie di persone rappresentate e nel loro comportamento (il tipico allevatore, il tipico texano, il tipico Maryland, ecc.). Ovviamente si fa profusione di patriottismo con tante bandiere e belle cerimonie, come pure di buoni e perbenistici sentimenti. Il solido valore della famiglia è esaltato e glorificato. Qualsiasi contrasto e problema è presto e velocemente risolto con eleganza e facilità, grazie alla “aurea mediocritas” di questa idealizzata quanto falsa famiglia americana.
Oltre al classico tema della conciliazione fra l’anima repubblicana e quella democratica della nazione, il film tenta anche un discorso politico di integrazione razziale. Lo fa però in maniera molto blanda e prudente. Intanto tutto si basa su presupposti paternalistici. Si tratta di una concessione dall’alto. Gli ispanici e gli indiani rimangono comunque nei loro villaggi con il loro atteggiamento di sottomissione, magari si elargisce qualche briciola di ricchezza che cade dalla mensa del superricco. Del resto tornano utili come carne da macello per eventuali guerre, tanto basta buttare una bella bandiera americana sulla bara e tutti sono contenti. Per l’integrazione sociale c’è sempre la “soluzione Berlusconi”, basta sposare il figlio di un grande miliardario, ecco allora che il problema dell’integrazione viene risolto: il nome del potente apre così tutte le porte. Le inquadrature insistite di bambini biondi e mulatti uno accanto all’altro assumono perciò un significato molto simbolico, quasi fine a se stesso. Un po’ di lustro a buon mercato per il film e basta.
Le interpretazioni degli attori risentono un po’ della convenzionalità stilistica. Rock Hudson è completamente fuori personaggio, non riesce a caratterizzarlo per niente. Liz Taylor è decisamente sotto tono. Fa eccezione James Dean, giusto perché da “ribelle” qual è, ha voluto intepretare il personaggio a modo suo, togliendolo dal suo contesto sociale e rendendolo quasi una copia di se stesso. Non abbiamo davanti a noi Jett con la sua ambizione repressa, la sua voglia di vendetta, il cinismo e la spregiudicatezza; no, abbiamo davanti un essere fragile, contorto, infelice. Il modo di recitare è sempre il suo caratteristico: posture adagiate o incerte, strascicature nel parlare, il suo risolino e lo sguardo perso. Insomma solo lui riesce, anche se fuori tema, a dare spessore e vita al suo personaggio. Non basta però a rialzare le sorti di un film kolossal fallimentare.
Volevo però omaggiare Mercedes Mc Cambridge. Mi piace sempre di più. La sua interpretazione della “cattiva” è l’unica che mi abbia emozionato.