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ALI' HA GLI OCCHI AZZURRI regia di Claudio Giovannesi

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atticus     6 / 10  23/05/2013 20:00:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Da Fratelli d'Italia, il documentario che Claudio Giovannesi presentò al Festival di Roma nel 2009, ad Alì ha gli occhi azzurri il passo è breve se non inesistente; da quel primo lavoro, il racconto di tre storie di adolescenti non italiani che frequentavano la stessa scuola, infatti, il giovane regista romano riprende il personaggio di Nader, troppo interessante e complesso per essere concluso in poco più di mezz'ora di narrato.
Figura emblematica di una nuova generazione di figli del melting pot socioculturale degli ultimi tempi, Nader è un sedicenne egiziano nato a Roma e nervosamente diviso tra costumi musulmani, vissuti come una ristrettezza insopportabile, e italiani, interpretati in maniera molto più superficialmente liberale. Quando la famiglia si oppone alla sua storia d'amore con una ragazza italiana e non islamica, Nader scappa di casa e, in una settimana, vivrà freddo, disperazione e solitudine, alla ricerca di una propria identità.
Prendendo a prestito una straordinaria riflessione pasoliniana (Profezia, 1962-64), il film di Giovannesi arriva sullo schermo con tutta l'urgenza storica che la vicenda impone; giorno dopo giorno, ora dopo ora, assistiamo al vagabondaggio di un ragazzo vittima dell'integrazione, in guerra con sé stesso e le proprie culture ma irriducibile nei suoi valori morali assoluti.
L'amore senza limiti e il senso dell'amicizia che diventa fratellanza sono solo due dei pilastri apparentemente incrollabili nell'animo del ragazzo, fustigato da una condizione sociale evidentemente sofferta e dall'omologazione al degrado che lo circonda.
In una Ostia di spaventosa aridità (merito anche della fotografia plumbea di Daniele Ciprì), Giovannesi fa agire il suo eroe tra criminalità, aspirazioni e illusioni, senza tuttavia risolvere il groviglio multiculturale che lo anima: le pressioni sono enormi e il risultato finale ne risente, come incapace non tanto di suggerire una speranza per Nader, quanto di completare il quadro tristemente amaro di un'identità perduta nello scontro tra razze.
Resta, in ogni caso, un film necessario, rigoroso nella messa in scena e pregevole per la schietta prova collettiva del cast di non professionisti, auto-rappresentatisi in una storia che continuerà a ripetersi.