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CUORE SACRO regia di Ferzan Ozpetek

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gerardo     6 / 10  13/03/2005 00:44:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il cinema di Ozpetek non si discosta molto da quello del cancerogeno Muccino. Anche il suo è sovraccarico ed eccessivo, non difforme dai canoni televisivi abusati e dilaganti nel cinema medio(cre) italiano di oggi.
Cuore sacro è il remake di Europa 51 di Rossellini, non c'è ombra di dubbio: persino il nome della protagonista è lo stesso. (Negli esiti estetici, morali e ideologici, però, c'è un abisso incolmabile tra i due).
Pensava forse, Ozpetek, che a distanza di oltre 50 anni il grande pubblico non l'avrebbe notato? Mah...
Europa 51 è un capolavoro poco riconosciuto nella filmografia del regista di "Roma città aperta". C'è da chiedersi come mai un regista come Ozpetek, che appartiene a quella schiera di registi medi (e mediocri), borghesi, ruffiani pluripremiati e sopravvalutati (certo, fanno mercato), si sia cimentato con un remake così particolare e con una tematica che i borghesi purtroppo non riusciranno mai a comprendere appieno. Come affronta la colpa Irene di Rossellini? Passa attraverso un lungo e doloroso travaglio che la porta, dall'alta borghesia, ad accostarsi prima all'ideologia comunista, poi alla dedizione totale ai più poveri (siamo nella Roma degli anni immediatamente post-bellici, dove la miseria e le mecerie costituiscono una realtà ancora molto evidente nella società italiana). Irene/Bergman ABBANDONA non solo le sue ricchezze, ma soprattutto il suo status sociale di donna alto borghese. Si spoglia della sua identità originaria e diventa una nuova persona. Per questo tutti la credono pazza e il manicomio sarà la sua condanna definitiva: Irene finirà reclusa e allontanata perché ritenuta (implicitamente) "pericolosa" per la società borghese. Il suo è, d'altronde, un gesto fortemente rivoluzionario, sovversivo.
L'Irene di Ozpetek vive, invece, un travaglio alquanto rapido, quasi indolore: da un'inquadratura all'altra ha trasformato la sua nobile casa in mensa per i poveri (è bastato il passaggio del fantasma della madre, o della ragazzina ladra/santa martire, a darle l'input-imprinting della santità e in un solo cambio d'inquadratura, con un salto ellittico che ci "risparmia" il dolore del travaglio morale, ritroviamo l'imprenditrice di successo diventata una nuova ancella del Signore). Ozpetek si sbarazza comodamente del passaggio ideologico, per fare di questa nuova Irene una santa borghese. Di fatto, Irene/Bobulova, pur spogliandosi completamente dei propri vestiti (anche dei suoi averi? Non è dato saperlo, perché cedere gli abiti e i gioielli portati addosso, nella stazione dell'Anagnina, è un gesto plateale, ma non completamente esplicativo) pare non spogliarsi della sua identità borghese. Il suo discorso fremente e misticheggiante al convegno con i francesi in realtà non mostra fino in fondo l'abbandono totale (come farebbe pensare la spoliazione francescana finale) del suo status sociale. Non basta dichiararsi contrari allo sfruttamento e all'arricchimento.
Quello che fa Irene/Bergman è un cammino di purificazione / liberazione, di rigetto del proprio ceto di appartenenza. Il cammino mistico di Irene/Bobulova è un insieme di platealità da rotocalco televisivo (come le madonne che piangono, per intenderci), ma senza il passaggio fondamentale della rinuncia al proprio status. E' tutta esibizione e parole (il film è fin troppo didascalico, cosa che aggrava i sospetti di falsità), che assomigliano più a un dispetto alla zia arcigna che i segni di una vera, profonda e dolorosa crisi morale.
Il finale è piuttosto inquietante: la perizia psichiatrica (nazional-popolare, direbbero i CCCP) della dottoressa assicura il pubblico (voce-off) che la nostra Irene non è pazza. Irene è assolta dalla colpa di aver tradito la sua "nascita" borghese (per dirla alla Pasolini) e noi spettatori possiamo stare tranquilli. Per la colpa di cui si parla nel film, quella ormai è stata redenta con le opere buone e caritatevoli della donna. Noi borghesi, con lei, ci siamo sciacquati la coscienza e possiamo sentirci più sereni e in pace col mondo.
Come regia Ozpetek ci dà addosso pesante con le carrellate pseudopoetiche e i primissimi piani della Bobulova; abbonda insopportabilmente con le carrellate avvolgenti attorno alla protagonista fino a metterne due identiche a distanza di due sole sequenze, verso la fine. E', appunto, il correlativo tecnico della platealità del misticismo di Irene, sottolineato, in un crescendo barocco, dall'uso della musica pomposa e onnipresente. Laddove, invece, Europa 51 è di un'asciuttezza estetica che sa veramente di rigore religioso e morale.
Nonostante tutto, però, c'è da riconoscere una grandissima interpretazione di Barbora Bobulova, che nonostante la parte anche ridicola a volte, riesce, con la sua espressione sempre un po' smarrita, a far sembrare quasi credibile il film piuttosto fasullo che sta interpretando.
nextam  15/03/2005 20:08:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
la tua analisi e' precisa e puntuale . i registi italiani di oggi (includiamo anche Ozpetek) dovrebbero cominciare finalmente a trovarsi un lavoro serio, il cinema non e' uno scherzo. I maestri come Rossellini, De Sica (ma non ne ricordo altri) non ci sono piu'. non oso neanche aggiungere una frase (non ne sarei capace) alla tua disamina di critico bravo e preparato.
gerardo  19/03/2005 12:48:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bè, grazie a tutti...
Io credo che i registi italiani di oggi, più che trovarsi un lavoro serio, dovrebbero cominciare a fare seriamente il loro lavoro. E' una questione di onestà morale e intellettuale verso il pubblico, verso la società contemporanea in generale e verso gli autori che li hanno preceduti.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  19/03/2005 22:14:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ma perchè tanto sfascismo verso il cinema italiano? perchè dobbiamo pensare che Crianese Garrone Piscicelli o Capuano non siano degni dei loro padri? E' una posizione, scusatemi, un po' snob Il cinema italiano è in crisi non tanto per mancanza di idee ma per una spirale ideologico-politica (di qualsiasi parte essa sia) che mette il cappio alle idee e alla diffusione dei film Penso a Franco Citti: un regista eccezionale che non vede mai distribuiti i suoi ultimi film E Cipri' e Maresco allora? Io non trovo che fuori dall'Italia esistano autori tanto beffardi e squisitamente bizzarri come loro
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  21/03/2005 14:12:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Cioè Sergio Citti, opps... ho sbagliato
nerio  22/03/2005 00:37:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
e beh insomma, un po' di pazienza, e che diamine...aspettate un attimo che arrivi io e tra18/25 anni farò un film, anzi il film che metterà d'accordo tutti... ora faccio il papà ma il bimbo cresce e fra poco riprenderò i miei contatti per darvi il sontuoso inizio precursore di un alba nuova del cinema italico.. se fosse vero può bastare?
Un saluto
Nerio
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  22/03/2005 01:42:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dovrai scontrarti con tutti i merdosi burocrati del potere, chinare il capo mi auguro che tu riesca ad essere libero, perchè la libertà di pensiero in Italia è sempre più difficile ciao e rinnovo l'invito che ti avevo fatto kow
nerio  22/03/2005 14:21:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ciao caro kow, prima o poi verrò nella tua fatata città e in una bella osteria a gustarmi in tua compagnia un ombra de vin (si dice così no?). eh lo so..quello che tu dici ha grsndi parti di verità... per ora sono molto libero, anche perchè sono attivo nel ramo documentari e sia la tv svizzera sia i privati mi danno grande fiducia e quindi libertà.. e sarebbe la cosa più giusta e anche la più ovvia, una volta trovato l'accordo sul taglio e l'impostazione poi le cose vengono da sè, anzi si migliorano perchè sentendo forte fiducia intorno allora acnhe il prefessionista serie e sensibile da di più... quante volte ho passato più giorni in montaggio per i documentari che facevo per Pupi Avati quando il compenso non era certo all'altezza del tempo trascorso, ma c'era fiducia, e questa diventava una marcia in più per la mia creatività e anche per la committenza che si trovava lavori molto più ben fatti del previsto.
Forse la chiave è fare un passo per volta, sebbene l'esperienza mi dica di sentimi in grado già di dirigere un film (che poi venga bene è tutto un altro discorso) penso che se domani dovessi essere chiamato a Roma da un produttore a girare un film in pellicola probabilmente verrei ingoiato da un mondo intrallazzato verso il basso (quel che dici tu) da scottarmi per sempre.
Un passo per volta...qualche bella eccezione c'è no? Salvatores ha iniziato dal teatro, e nella sua città, e i suoi primi film sono stati fatti con i suoi amici...
Ho in canna un bel corto ma prima devo trovare il signor Sky o il signor Avati o la signora Svizzera che creda fermamente e porti avanti tutta la trafila per "ben distribuirlo", altrimenti è inutile farlo, preferisco continuare con i documentari..
un saluto
Nerio
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  22/03/2005 21:15:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ok ti aspetto Sì ci sono lodevoli eccezioni, e infatti è quello il cinema italiano che merita di più
gerardo  21/03/2005 13:16:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quanto allo snobismo (mio presunto), come puoi notare dai miei commenti, cioè dal fatto stesso che ci sono, io i film italiani li vedo, senza fare troppo lo schizzinoso. Poi, se mi ritrovo davanti certe cose talvolta inguardabili non è per pregiudizio, scusami.

Invia una mail all'autore del commento kowalsky  21/03/2005 14:39:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sì in parte condivido con te... non a caso qualcuno sdogana rivaluta la commedia italiana sexy degli anni settanta proprio per il presunto coraggio di mettere in scena vizi e virtu' borghesi (che poi lo faccia senza alcun senso critico, con una licenziosità compiaciuta da "siamo tutti cornuti, giusto così") è un'altro discorso. Ma il problema non è solo del cinema italiano: c'è una crisi europea che ha un solo nome, puoi chiamarlo campanlismo (nel nostro caso) o nazionalismo. Per esempio in Francia i campioni d'incassi non vanno oltre il successo nazionale. La Germania dopo i fasti di Fassbinder e Herzog è come la sua squadra di calcio: con difficoltà riesce a trovare un ricambio. L'italia beh... siamo provinciali, e campanilisti, inutile negarlo. Per esempio sappiamo già che Pupi Avati è "la scena bolognese", mentre Piscicelli quella "napoletana", ragioniamo come se parlassimo di canzonette (la scena genovese - de andrè, ciampi etc. - la scena milanese - gaber, jannacci ) E il cinema secondo me ne risente: il maggior pregio del cinema italiano è quello di raccontare piccole storie con pochi mezzi Il suo difetto è di non avere un mercato internazionale perchè spesso queste piccole storie sono direi un po' egoiste, chiuse nei parametri di una dimensione territoriale non molto vasta. Gli italiani sembrano sempre quelli che sognano l'America o l'Asia senza spostarsi di un centimetro dalle loro abitudini E così escono film tipo Muccino che in "come te nessuno mai", neanche fosse Godard, mostra gli studenti della pantera che guardano i film sociali indipendenti con interesse, ma quando mai? Non siamo mica nel 1968. Non più. E poi facciamo i conti con la nostra storia, con tutto quello che abbiamo rimosso, e allora ci basta tutto questo a sentirci privilegiati. Sì su questo tipo di cinema sono pienamente d'accordo: è un'eresia. Pero' a volte ho anche l'impressione che i migliori film italiani rischiano di frantumare la loro nazionalità, ad esempio Le conseguenze dell'amore è un'opera notevolissima, certo, ma non ha molto di italiano, sembra di vedere un film di Kieslowsky, o di Kaurismaki Io puntavo anche sull'asse politica-ideologica e penso a quegli autori definiti "pigri" ma in realtà "liberi" (due nomi su tutti, Gregoretti e Silvano Agosti) che pagano le conseguenze (non dell'amore) di non voler avere nessuna "spalla" attorno a se' Inoltre il cinema italiano a volte svolta furbescamente nel mercato estero, con il risultato che Mediterraneo di Salvatores riceve gli oscar senza essere assolutamente rappresentativo del cinema italiano (al massimo carino) Poi ci sono opere come Respiro e (pur con i suoi difetti) la meglio gioventu', L'imbalsamatore o I buchi neri che escono dai parametri e meritano infinitamente di più almeno dal punto di vista formale. Riguardo la commedia becerotta degli ultimi anni, penso che tutto cio' esprima soprattutto un forte dissenso verso il Cinema inteso come accademismo ed elite, infatti guarda caso (e ritorno al tuo discorso sul cinema borghese) Boldi e Christian de Sica piacciono indifferentemente a tutti, scatenano il vuoto qualunquismo della nostra nazione, occasione per ridere sguaiatamente per il coatto di periferia o per il conte e la contessa tal dei tali che per l'occasione della "prima" in smoking e vestito da sera si godono certe pagliacciate (meno male che qualche volta i nobili vanno anche alla Scala o alla Fenice) Che non è tanto mostruoso nel suo NON essere cinema, ma parodia delle parodie, ma nella rassicurante capacità di tramutare ogni problematica sociale in una scureggia... E qui mi sento disgustato da gente che ha i mezzi (anche economici per finanziare i film per es.) per conoscere il buon gusto ma diffonde un'immagine di se' tristemente patinata e anonima, insomma certe categorie di pubblico "privilegiate" vedono un solo film all'anno e per il resto passano il tempo a masturbarsi
gerardo  22/03/2005 13:45:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il "taglio" del mio intervento, ancor prima che ideologico, era antropologico. Cercavo, cioè, d'individuare una linea di base d'analisi dello sviluppo della società italiana negli ultimi 40 - 50 anni, con l'evoluzione (involuzione) culturale e morale che ha riguardato ogni aspetto della vita nazionale. Sul provincialismo del cinema italiano convengo con te, ma non credo che la limitatezza di questa caratteristica sia di tipo territoriale, quanto di visione storica e oggettiva della realtà. Lacapagira di Piva è un film che parla della piccola malavita diffusa barese, è recitato quasi totalmente in dialetto, ma ha un valore in sé che va ben oltre i confini provinciali o regionali, tant'è che a Berlino, dov'era stato presentato fuori concorso, ha avuto un successo enorme e probabilmente inaspettato (per dirti, so di tedeschi che dopo aver visto il film volevano venire a visitare Bari, che non è proprio una bella città...). Questo perché la realtà strettamente barese è letta e presentata in modo così (realisticamente) eversivo - e cioè non conformista, quindi provinciale - che anche oltre il confine nazionale uno spettatore può trovarci degli aspetti interessanti. Qualche critico, non a torto, lo paragonava a certe prime prove di Scorsese e del suo mondo mafioso-delinquenziale newyorkese.
La limitatezza, dicevo, sta nell'approccio alla realtà: come scriveva tempo fa Roberto Chiesi, uno dei critici di maggior rigore interpretativo, proprio a proposito di Muccino e della commedia italiana attuale, i giovani registi italiani di oggi non sanno guardare oltre il proprio ombelico. Trovo che questa definizione sia perfettamente calzante, in quanto descrive esemplarmente la limitatezza storicistica del nostro cinema, che guarda al proprio ristrettissimo ambiente sociale e non sa allargare lo sguardo sul mondo intero. Muccino e i suoi compari parlano di se stessi senza averne, peraltro, la minima consapevolezza (critica) e non vanno oltre il proprio io. E' un cinema, per collegarmi al tuo discorso, egocentrico, più che egoistico (in questo Nanni Moretti non è esente da colpe...), dove il proprio io non viene per niente contestualizzato, ma diventa tronfiamente autosufficiente.
E' a quel tipo di commedia che mi riferisco, non a quella di Boldi e De Sica, che tendo a non considerarla nemmeno. Eppure, non posso non riconoscere a questa commedia (universalmente definita infima, ma apprezzatissima ai botteghini natalizi) la sua capacità di interpretare lucidamente - anche se in modo beceramente compiaciuto e non distaccato - la società italiana (o italiota, se preferisci) nei suoi cambiamenti, nei suoi vizi, ecc. Molto meglio di quanto non facciano Muccino, Virzì, Ponti e gli altri loro simili.
Io non credo che certi film italiani, come L'imbalsamatore o Le conseguenze dell'amore frantumino la "nazionalità" della loro provenienza. Semmai - e questo è uno dei maggiori pregi che gli si deve riconoscere - portano in una dimensione più internazionale delle peculiarità italiane, come faceva il cinema neorealista o il grande cinema d'impegno politico-sociale degli anni '60/'70 (Pietrangeli, Petri, Rosi, Pontecorvo, Scola, ecc.). Un po' come succede nella musica con i CCCP/CSI, l'unica via veramente italiana al punk, o con i Marlene Kuntz, che sono riusciti (partendo, come i CCCP tra l'altro, proprio dalla provincia, va detto) a trovare una perfetta congiunzione tra il testo (cioè la lingua italiana, con le sue peculiarità musicali e strutturali) e la musica noise underground assolutamente non italiana, ma di origine prettamente nordamericana o inglese. I Marlene oggi non sfigurerebbero affatto nei club rock più esigenti e raffinati di New York o di Londra.
Quello di Salvatores, purtroppo, rappresenta un'idea di cinema italiano non solo all'estero: il cinema delle macchiette. Non di meno, si deve riconoscere a Salvatores la capacità visiva (o visionaria) e tecnica di chi sa dove si mette la mdp. Per dirti, da Salvatores io mi aspetto sempre "il grande film", ma sono tuttora in attesa... La stessa cosa vale perTornatore e Giordana.
Quanto alla crisi e al campanilismo del cinema francese non sono d'accordo, perché da quelle parti c'è ancora un concetto alto di cinema, anche in relazione al mercato; c'è un'apertura ideologica e culturale che noi abbiamo scordato, una capacità di osservare e sezionare la realtà e la storia ancora molto forte. Hanno deciso di investire sul proprio cinema, di non abbandonarlo al destino, come succede qui da noi - e con la legge Urbani è ancora peggio -; hanno deciso di sfidare la colonizzazione americana puntando su una varietà tematica da noi assolutamente sconosciuta e una qualità tecnica elevatissima. Jeunet, Besson, Pitof sono quotati anche a Hollywood, come molti attori e attrici (la Tautou è stata scelta da Ron Howard tra eccellenti candidate come protagonista del film Il codice Da Vinci, tratto dal best seller di Dan Brown). E i film campioni d'incasso in Francia hanno successo anche fuori dai confini nazionali e non solo in Europa, ma anche in USA e in Giappone. Questo perché hanno un "linguaggio" più internazionale, anche se parlano della realtà francese più provinciale. Come dicevo nell'altro intervento, da noi più che cinema si fa televisione. Lavorando su un set mi è capitato di parlare con Luca Coassin, direttore della fotografia di "Occhi di cristallo" e "Tutta la conoscenza del mondo" di Eros Puglielli, al quale ponevo proprio questa domanda sull'uso non differenziato della fotografia nel cinema e nella fiction tv. Mi ha risposto quasi sconsolato dicendomi che oggi in Italia tanto ai registi quanto, soprattutto, ai produttori non gliene frega più niente di ricercare una forma espressiva migliore per il film cinematografico. Cosìcché ci si ritrova a guardare film che hanno la stessa piattezza estetica di Orgoglio di raiuno. In definitiva, manca da noi il gusto stesso di fare cinema e di farlo bene.
Aggiungo, infine, un'altra questione: molti giovani, adesso, hanno la possibilità di accedere al mondo del cinema, basta avere un po' di soldi e il gioco è fatto. Frequentano scuole di cinema non si sa quanto all'altezza della situazione; talvolta, anzi spesso, dei corsi o seminari di regia e sceneggiatura per lo più improvvisati e condotti da personale docente magari non proprio qualificato o poco all'altezza del compito, che impartisce quelle 2 / 3 nozioni canoniche di grammatica cinematografica assolutamente fini a se stesse, togliendo spazio alla fantasia e allo sperimentalismo individuale (ecco l'omologazione e il conformismo). Poi si reperiscono i mezzi tecnici per girare e si fanno i film. Magari questi giovani autori non hanno nemmeno studiato altro che non siano i tecnicismi cinematografici e non conoscono la Storia, leggono letteratura di tendenza e di consumo e si nutrono essenzialmente di estetica televisiva. Cosa può nascere da questi autori piccolo-borghesi se non l'introspezione acritica di sé? E' un cinema crepuscolare questo, ma - ahimé! - senza l'(auto)ironia e la lucida coscienza di sé e del proprio mondo dei grandi poeti crepuscolari italiani d'inizio '900.


Invia una mail all'autore del commento kowalsky  27/03/2005 01:34:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
alla fine la pensiamo allo stesso modo su un punto: il vuoto culturale italiano favorisce la sponsorizzazione della cultura come prezzo e non come impellenza qualitativa comunque se non altro salvatores e giordana con i loro ultimi film non avranno trovato il capolavoro ma bisogna riconoscere che la direzione è quella giusta complimenti per i nomi citati, sai veramente il fatto tuo, di Petri si ricordano in pochi ahimè e Io la conoscevo bene di Pietrangeli è uno dei film italiani che preferisco
gerardo  28/03/2005 14:45:40Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
D'accordissimo su Io la conoscevo bene.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  21/03/2005 14:43:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
poi tutto passa attraverso i salotti di Costanzo e nient'altro... gli altri sono fuori condivido. Ma in fondo non ragionerei secondo "steccati", mi domando cosa sia borghese oggi. Voglio dire è più ipocrita l'ex "Straccio" liguori che da sanpietrino è passato a fare il mezzobusto, o più patetico Capanna con i suoi deliranti scritti post-sessantottini?
gerardo  21/03/2005 13:05:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non mi riferisco a loro, è chiaro. E su Ciprì e Maresco sono d'accordissimo, anzi, più che bizzarri li definirei apocalittici, oltre che colti e raffinati cinefili. Ma ce ne sono altri che sfuggono al pantano del nostro cinema, vedi Gaglianone (col suo stupendo "Nemmeno il destino"), Sorrentino, Ferrario (quando non esagera con l'autocompiacimento), il Piva "povero", la bella prima prova da regista di Valeria Bruni Tedeschi, ecc.
Come diceva Gaglianone - che ha da poco vinto il Rotterdam Film Festival mentre qui da noi non sappiamo nemmeno chi sia - , per fare qualcosa di decente devi andartene dall'Italia.
Quando parlo di cinema italiano mi riferisco al main stream della commediola deficiente e irritante o allo pseudo-impegno sterile che si risolve in moralismo rassicurante e flaccido, autoconsolatorio. Cioè a quella robaccia televisiva che non si discosta molto dalla fiction.
In breve, questo è cinema borghese (nell'accezione più negativa del termine), fatto da borghesi tronfi per una società miseramente piccolo-borghese e a loro del tutto simile.
Il mio assunto (e spero non sia solo una questione di opinione personale, ma un dato oggettivamente riscontrabile) è che il cinema, come tutte le arti e, in genere, la cultura tout court siano una espressione borghese. Fino agli anni '70, fino a quando cioè l'acculturazione di massa, per riprendere Pasolini, non ha imborghesito e livellato al basso la società italiana assimilandola al modello piccolo-borghese della società dei consumi, chi ha fatto, o ha potuto fare il regista, era per lo più un uomo di estrazione borghese (ovvio che c'erano anche l'aristocratico - es.: Visconti - e il sottoproletario - es.: Sergio Citti), con mezzi e possibilità inaccessibili alla massa e con una cultura evidentemente superiore alla maggioranza. Come dire: è stata la stessa divisione in classi estremamente marcata a fare una selezione anche di tipo culturale. Ma la cultura privilegio borghese di cui parlo poteva ancora dirsi "alta".
Con l'acculturazione di massa tendente al modello televisivo imposto, la mutazione antropologica e la conseguente omologazione degli italiani alla società dei consumi, la cultura si è abbassata (doveva essere il contrario: una società largamente sottoproletaria doveva elevarsi con la cultura alta) producendo una società piccolo-borghese assolutamente priva di coscienza e senza un'idea della propria identità. Nel momento in cui tutto si è ridotto a merce e la cultura degradata è diventata appannaggio dei più, anche il cinema, antropologicamente, è cambiato: oggi la possibilità di fare cinema da parte di un cittadino X è molto più ampia di quanto non lo fosse fino a 30 anni fa. Se per certi versi questa maggiore opportunità può essere vista come un fatto positivo, dall'altra è inevitabile riscontrare l'abbassamento della qualità. E non avendo più coscienza di sé e della realtà in cui vivono, essendo peraltro meno colti dei loro predecessori, la maggior parte degli autori oggi può solo proporre la ripetizione infima e deprimente dei modelli televisivo-borghesi in cui è nata e cresciuta. Quei modelli, come dicevo, imposti e assimilati passivamente della società dei consumi. Naturalmente il circolo vizioso comprende non solo registi e sceneggiatori, ma anche produttori e distributori. E, non da ultimo, il pubblico che vuole ritrovarsi e riconoscersi in quel che vede, in un trionfo dell'ignoranza di sé e del mondo.

Invia una mail all'autore del commento kowalsky  13/03/2005 11:06:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
hamman e le fate ignoranti non erano affatto male, anzi... comunque condivido i tuoi dubbi riguardo quel finale, e aggiungerei che la stessa presunta schizofrenia è il solito alibi per colpire l'anticonformismo
maremare  15/03/2005 12:28:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
a me è piaciuto veramente solo il primo, hamman, forse perchè meno pretenzioso e più rigoroso dal punto di vista formale.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  18/03/2005 20:26:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E agiungo, finalmente qualcuno ha visto europa 51 e ne ha potuto tracciare efficacemente i paragoni... credo comunque che quel film come ho scritto io sia diventato involontariamente un bell'esempio di istant-movie sulle scelte stesse di vita della Bergman, che come madre ha compiuto diversi errori
gerardo  19/03/2005 12:53:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Per quanto mi riguarda, Europa 51 è uno dei miei film preferiti. Della Bergman non conosco le vicende private, a parte la relazione con Rossellini....
Invia una mail all'autore del commento GattoMatto  23/03/2005 10:36:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ottima recensione
gerardo  23/03/2005 10:40:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie!
Orfeo  02/04/2005 12:23:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
veramente bel commento
kaze  13/03/2005 13:36:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
concordo pienamente con tutto quello che dici anche se non ho visto il film europa 51..somplimenti per la tua recensione scritta in maniera egregia e superlativa..
Novalis  15/03/2005 04:02:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao Gerardo,
toglimi una curiosità, anche nel film di Rossellini campeggiava questo alone di soprannaturale? (vedi spiriti, rincarnazioni ecc.)Vorrei sapere se almeno questo è farina di Ozpetek...
Rossellini non mi sembra il regista più consono a tali argomenti, ma non si sa mai... Grazie
gerardo  19/03/2005 13:30:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Assolutamente no. Oltre a non averne bisogno, Rossellini è uno dei padri del neorealismo. E poi l'asciuttezza e il rigore estetico-morale del cinema rosselliniano è l'opposto del "barocchismo" dei registi delle ultime generazioni.
Quello del soprannaturale è un vezzo stupido che hanno preso qui in Italia negli ultimi anni, a quanto pare, forse per scimmiottare certe tendenze modaiole americane (o spagnole? : visto che il cinema horror-thriller è un genere particolarmente florido oggi in Spagna) o perché qui sono veramente a corto di idee.
C'è qualcosa di inquietante in questa tendenza, secondo me. Molto più inquietante dei fantasmi stessi del soprannaturale. Sembra che la realtà così com'è non sia più credibile e sufficientemente drammatica da poterla affrontare senza escamotage trendy. O, al contrario, che è così difficile per i nuovi registi parlare della realtà contemporanea che si cerca di esorcizzarla con lo "spirit(ual)ismo". Forse è solo una questione di tendenza e di cassetta, ma il risultato non cambia: il distacco e la non-percezione del mondo da parte di questa gente è enorme e, aggiungiamolo, fastidiosa e pericolosa.

Qualche mese fa un mio amico regista mi ha inviato una sua sceneggiatura di un cortometraggio perché gli dessi una mia opinione. Ebbene, per parlare di una giovane donna che alla morte del padre rivive gli incubi dell'infanzia violata dagli abusi dell'uomo, si è infilato in mezzo un paio di fantasmi, telefonate lynchiane a metà fra l'incubo e la realtà e cose del genere (horror). Gli ho detto che, secondo me, non c'era alcun motivo di ricorrere al soprannaturale per raccontare la pedofilia, perché la realtà è già abbondantemente agghiacciante per conto suo, molto più dei fantasmi. Ma per il regista non c'era altro modo per rendere quella storia etc. etc.
Il corto è stato poi girato con un cast artistico e tecnico di primissimo livello. E questo è quanto succede oggi in Italia.