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KENTUT regia di Aria Kusumadewa

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Invia una mail all'autore del commento Elly=)     7½ / 10  01/11/2012 06:11:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Rare volte un film che porta una denuncia sociale così spietata contro il proprio Paese riesce ad essere universalmente condivisa. Il giovane Aria Kusumadewa che già ci diede un assaggio con il suo precedente IDENTITAS torna sui grandi schermi portando con sé la visione della società e della politica tailandese sotto la falsa riga di una commedia che già dal titolo riesce ad essere demenziale ma allo stesso tempo intrigante. La storia può sembrare la solita storia del buono e del cattivo. Da una parte abbiamo l'egocentrico tamarro maschilista giapponese, che porta alta la sua bandiere di colore rosso, affiancato dall'immancabile oca di turno, che punta allo sviluppo della Thailandia, puntando a diventare uno dei Paesi più sviluppati senza rendersi conto che l'economia tailandese va avanti ancora con l'agricoltura e i cittadini non sono ancora pronti, è ossessionato dal potere e come ogni politico furbo a cui interessano solo i soldi e il comando pur di vincere cerca di sabotare il nemico e di comprarsi i cittadini imbrogliandoli senza che se ne accorgano. Dall'altro versante troviamo una donna (simbolo del futuro) diplomatica che punta alla caricatura, una donna che pensa prima di agire, esprime solidarietà e sicurezza, è aperta alle richieste del popolo e intende soddisfarle, ha capito la situazione interna e vuole migliorarla. Ma come spesso accade chi cerca di compiere atti benevoli e pensa alle masse meno fortunate viene tolto di mezzo con molta facilità. Qualcuno attenta alla sua vita ma viene fortunatamente solo ferita e si ritrova ricoverata in un ospedale dapprima occupato dai suo elettori per pregare per la sua salvezza ma che poi diventa covo di sperperamenti, dove si instaura un vero e proprio mercato nel quale l'esponente tamarro riesce a trarre i propri vantaggi. Mantenendo sempre alta la comicità veniamo a contatto con l'aspetto sociale tailandese e meno quello politico affrontato nella prima parte e tirando le somme ci accorgiamo dell'arretratezza mentale di questo popolo rappresentata dal poveraccio che per curare la propria moglie si affida ad un mago invece che ad un dottore, i capi delle diverse religioni, l'uomo che continuamente scoreggia, la donna che pratica la magia nera credendo di essere la pedina determinante. Alla fine tutti si dimenticano il vero motivo per cui sono giunti fin lì, il business, i guadagni, i propri affari hanno preso il sopravvento ed è proprio qui che il mondo orientale tocca il mondo occidentale, espresso simbolicamente dal tailandese con indosso la maglietta dei Sex Pistol e sottolineando indirettamente il ruolo che i media hanno nella società. Come finisce è abbastanza scontato. C'è un punto nella seconda parte che perde la brillantezza e la carica iniziale spostandosi più sul versante della storia d'amore, alquanto mielosa ma il film tutto sommato riesce ad essere duramente grottesco, tagliente, un film che nonostante la sua scoreggia finale, non lascia indifferenti.