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THE SESSIONS regia di Ben Lewin

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Barteblyman     7 / 10  02/03/2013 15:58:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Roberto Nepoti su Repubblica scrive di "film buonista", il buonismo a scapito di una storia importante. Io credo di aver pensato di voler esser il nipote di Nepoti. Ma solo per passare il tempo a fare battute a proposito. Per sempre. "Ciao, sono il nipote di Nepoti", passare le mie giornate così. Presentandomi a parenti ed estranei. "Ciao, sono il nipote di Nepoti", magari farne anche delle accattivanti t-shirt. I'm nipot's Nepoti. Potrei vivere solo per questo ma invece non è andata così, non sono il nipote di Nepoti.

Cosa è il buonismo? Be', è un sostantivo, "nel linguaggio giornalistico, atteggiamento bonario e tollerante che ripudia i toni aspri dello scontro politico." (Zingarelli) Data cotale definizione io non me la sento di considerare The Sessions un film buonista. In fondo in questo film non si parla manco di politica.

Il film, una storia vera, parla invece di Mark O'Brien, poeta e giornalista ammalatosi in giovane età di poliomielite che vive immobilizzato dalla base del collo in giù. Deve stare in un polmone d'acciaio -il suo unico arredamento in casa- e si può spostare solo steso su una barella. Ma non per molto, dopo poche ore deve tornare nel suo polmone d'acciaio.

Mark nella sua abitazione vive con un gatto e la notte quando si addormenta e la mattina quando si sveglia il suo sguardo e il suo saluto sono indirizzati ad un quadro della ******* appeso alla parete. Mark O'Brien infatti è un credente e pensa che Dio abbia un curioso senso dell'umorismo.

Ad un certo punto Mark sente che gli manca qualcosa: il sesso. E per risolvere questa spinosa questione troverà una persona, che in gergo tecnico si chiama "surrogato sessuale", che lo inizierà con le sessions del titolo.

Pericolo politica quindi scongiurato. Il buonismo per ora non si vede. Il film è un piccolo film, non ha la pretesa di sollevare elevate ("sollevare elevate" ?) questioni esistenziali né punta alla lacrima. Questo grazie alla personalità di Mark O'Brien, simpatico, ironico e grande ammaliatore di donne. Lui le ama e loro -giustamente- se ne accorgono. Tolta quindi ogni pretesa alta il film semplicemente racconta un episodio nella vita di Mark O'Brien (da lui stesso narrato in un articolo, On Seeing a Sex Surrogate, pubblicato nel 1990 sul Sun) e lo fa con una naturale delicatezza. La medesima delicatezza della "terapia" sessuale alla quale il protagonista si sottopone.

Oltre ad una regia calibrata (Ben Lewin, il regista è stato anche lui colpito in passato dalla poliomielite) che piazza lì alcune belle soluzioni con l'inserimento di flashforward, la pellicola trova il suo maggior punto di forza nei tre protagonisti principali. John Hawkes, romantico, fragile. In antitesi ai suoi ruoli più recenti e bravissimo come sempre. William H. Macy, il prete confessore. Noi tutti, credo, amiamo William H. Macy (anche se io in questo film ho poco amato i suoi capelli). Se mettessimo dei bei baffi ed un paio di occhiali a William avremmo un perfetto Ned Flanders. E poi Helen Hunt. Una sorprendente Helen Hunt (sì, con Qualcosa è cambiato si era portata a casa un oscar ma io non ricordo molto di Helen Hunt e quindi per me è sorprendente a prescindere). Candidata agli oscar 2013 per questo ruolo, candidatura che secondo me si merita in pieno. Misurata ed intensa allo stesso tempo. Una Helen Hunt a nudo (nudi integrali di tutto rispetto).

Che dire? Un bel film, certamente. Non buonista, riporta semplicemente i fatti senza addolcire troppo, senza eccessi. E' una finestra o una attualizzazione per immagini e racconto di un'interdonazione. Di un fenomeno comune a noi esseri umani e non, l'affezione. Per prenderla proprio distante. Come direbbe Barthes, l'esperienza del disimparare. Disimparare dall'età adulta, dai manuali sul sesso per ripartire dal tatto come linguaggio primario. Imparare (nel caso di Mark O'Brien) a riconoscere un corpo che non si conosce. Imparare il suo corpo muto attraverso un altro corpo. Interdonazione, crollo di uno scambio come usufrutto -per dire- e svelamento di una dinamica di reciprocità profonda. La reciprocità qui a partire dalla fisicità, come accompagnamento verso l'altro concettuale.

Mmm, okay... Io... Io in tutto questo, tuttavia, un pochetto continuo a lamentare il fatto che non posso ancora dirmi nipote di Nepoti visto che non lo sono, mi par apodittico. Posso dirlo all'infinito però, magari alla fine il tutto si materializzerà... Ciao, sono il nipote di Nepoti.

Ciao, sono il nipote di Nepoti

Ciao, sono il nipote di Nepoti

Ciao, sono il nipote di Nepoti

Ciao, sono il nipote di Nepoti...