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QUATTRO NOTTI DI UNO STRANIERO regia di Fabrizio Ferraro

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Lev D     8½ / 10  09/06/2013 01:46:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il regista dice che il riferimento al racconto di Dostoevskij è solo un pretesto però io trovo che lui, forse senza rendersene conto, lo ha seguito molto, alcune volte facendo anche al contrario, ma anche questo vuol dire guardare da un punto di vista diverso.
Ad esempio nel romanzo parla quasi sempre il sognatore, Nasten'ka parla molto meno. Del sognatore conosciamo quasi tutto, conosciamo molto bene specialmente il suo mondo fantastico, tranne, però il suo nome.
Nel film, invece, è solo lei a parlare e solo quanto basta per inquadrare la scena e distinguere le quattro notti. Di lui sappiamo soltanto che è straniero.
Però, per chi conosce il romanzo, quei silenzi parlano, sono espressivi, il rumore dei passi sembra che scandisca le parole.
Inoltre, ogni artista, sia regista che scrittore (in particolare i russi) cura molto la scena nella quale si muovono i personaggi.
Nel film già la scelta della mancanza dei colori, con bianchi accecanti e neri quasi senza chiaroscuri, ci riporta a quel forte contrasto tra le fantasticherie del sognatore e la concretezza di Nasten'ka che preferisce aspettare pazientemente il ritorno di colui che le ha promesso di sposarla dopo che avrebbe guadagnato il necessario per metter su casa.
Infine, i nove minuti di camera fissa. Anche questo credo che sia stata una scelta molto felice. Nelle poche righe del finale del romanzo emerge la grandezza dell'opera. Il sognatore, anche se viene lasciato da Nasten'ka, si sente in debito verso di lei proprio perché gli ha fatto provare un sentimento che, se non l'avesse incontrata, probabilmente non avrebbe mai provato.
Il romanzo si chiude con la celeberrima frase: "un minuto intero di beatitudine è forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?"
Nel film far dire allo straniero qualcosa di simile sarebbe stato troppo banale. Noi spettatori osserviamo Nasten'ka e lo straniero da lontano, sono quasi due puntini in una Parigi caotica invece che in una Pietroburgo deserta e silenziosa. Possiamo immaginare che lui dica a lei quelle parole, o semplicemente le pensi, ma tante volte, i silenzi e gli sguardi sono più significativi delle parole.
Come nel romanzo si avverte che Dostoevskij sentiva profondamente come facente parte del proprio io quanto ha scritto nell'epilogo (anche perché dieci anni dopo il destino lo metterà alla prova, si troverà lui stesso nei panni del sognatore e si comporterà esattamente come il suo personaggio), anche nel film si sente che il regista e gli attori vivono e traggono l'ossigeno da questa atmosfera di emozioni intense e riescono a trasmetterla al pubblico.
In conclusione il film mi è molto piaciuto.