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UN GIORNO DEVI ANDARE regia di Giorgio Diritti

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8 / 10  04/04/2013 18:30:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Che Giorgio Diritti sia un caso a parte nel nuovo cinema italiano, lo si sapeva, ma credo che ormai tutti dovranno farsene una ragione e ribadire che unico legittimo erede di Rossellini sia lui... "Un giorno devi andare" conferma la lucidita' di un autore che per fortuna e' ancora lontano dal manierismo fine a se stesso (quello che ha rovinato Crialese, e che da sempre persiste nel cinema del pur astuto Tornatore). Non che sia un film perfetto, tutt'altro, ma ho avuto l'impressione che oltre a sprigionare una lucida resa affettiva (tra il miglior Amelio e il minimalismo visivo di Piavoli) sia il film giusto al momento giusto. Si parla delle esperienze della fede, in questo paese dilaniato ma risorto solo nella pasqua di un papa controverso e inatteso, dove si celebra il Rito della comunione con una cristianita' forzata, magari un poco avvilente.
In realta' dal film traspare un fortissimo connotato ideologico (laico) piuttosto insolito in un'epoca segnata dalla disfatta generale delle ideologie e della politica italiana in generale... Il degrado puo' essere brutale, diceva Bunuel, ma la Comunita' aderisce a una strana armonia dove il meccanismo si rompe solo attraverso un lutto (con citazione fulminante del Funeralino di De Sica cfr. L'Oro di Napoli).
"Se vuoi cambiare le cose devi andare dove le cose bisogna cambiarle" suggerisce Augusta nel suo cammino verso la conoscenza. E il rischio di Diritti e' di diventare demagogico, come in quei luoghi comuni che vogliono che la Bellezza traspaia unicamente proprio dove non se ne trova. Ma sara' vera attitudine quella di Augusta, o solo un'altro modo primordiale per attutire lo sfruttamento? Le favelas di Manaos con i suoi loschi trafficanti e i meninos ricordano tanto il paese lombardo di Il vento fa il suo giro, come una comunita' che vive unicamente sulla propria armonia o resistenza psicologica, piu' che territoriale... Voler vivere il dolore DA FUORI non fa che accrescere i dubbi tangibili non appena questa squallida realta' odora di vita anche davanti a una discarica, anche una partita di calcio nel mezzo delle inondazioni. Paul Bawles insegna? E poi ci sono immagini che lasciano il segno, come quella del bambino con Augusta, che cita una famosa sequenza de Il ladro di bambini, e la meraviglia di una terra incontaminata proprio perche' ferita. Mi chiedo se tutto questo corrisponda a poesia o ambiguita'. Ma il film non da' risposte, neanche nei personaggi minori come quello della nonna (ricorda tanto, troppo Pupella Maggio in Amarcord) e va comunque assaporato come un'esperienza ora dolcissima ora dolorosa, mentre il tutto rimane sullo sfondo. E' la bellezza di un cinema che ci chiede di perderci