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MY FAIR LADY regia di George Cukor

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Godbluff2     7 / 10  10/05/2022 19:46:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Secondo me è la tipica occasione di fare un grande film buttata all'aria dalle sciocche manie e dai soliti vizi di Hollywood. "My Fair Lady" è un film che sarebbe potuto essere molto più bello di com'è stato, vittima di scelte confuse e infelici a livello di adattamento, scrittura e di produzione e di un finale terrificante e insensato che distrugge tutto ciò che avevamo visto fino a quel momento.
Per prima cosa l'annosa questione del casting di Audrey Hepburn. Naturalmente se non si fosse trattato di un musical e volendo puntare su un nome famoso e che fosse di garanzia di qualità per il ruolo principale Audrey Hepburn sarebbe stata una scelta perfetta e, in un certo senso, lo è stata comunque visto che a livello recitativo la sua interpretazione è eccezionale; tuttavia si tratta di un musical con parti cantate del personaggio di Eliza Doolittle scritte per una voce sopranile e ben al di là delle possibilità di Hepburn. Una cosa che sarebbe dovuta essere ovvia a chiunque. Di sicuro lo era per la stessa Hepburn. La cosa più ovvia sarebbe stata scritturare Julie Andrews che 8 anni prima da giovanissima aveva interpretato la parte nel musical teatrale; c'è poco da dire, questa sarebbe dovuta essere la parte di Julie Andrews, il buon senso lo suggeriva, Audrey Hepburn lo suggerì, facendo notare che "ragazzi, non sono una cantante e soprattutto non sono un soprano e soprattutto non ho la voce di Julie Andrews, buongiorno" ma loro niente.
Sono abbastanza sicuro che Jack Warner per questo film si sia fatto consigliare da uno tra Duffy Duck o Bugs Bunny, altrimenti non me lo spiego.
E infatti, nella maggior parte delle parti cantate Hepburn è stata doppiata da Marnie Dixon. Ci si passa sopra eh, ma l'effetto è pessimo quando la voce originale di Audrey e quella di Dixon si alternano all'interno della stessa canzone; in "Just You Wait" canta principalmente Audrey Hepburn ma nel bridge centrale sbuca dal nulla la voce di Marnie Dixon. La differenza è tale e talmente palese da risultare grottesca. Brutto effetto. Brutto.
Lo credo che Audrey si è un attimo girata di umore, visto che comunque si era impegnata al massimo delle sue possibilità per cantare parti che l'avevano chiamata loro a cantare pur essendo al di sopra delle sue capacità. Prima le dicono "si si vai bene tu, cantale" poi dopo "no no te le doppiamo, non sei abbastanza brava". Eh ma grazie al- rispose Hepburn-dandosi una manata in fronte.
E dunque perché non chiamare direttamente la protagonista originale in modo da non fare figure di mèrda di questo tipo ? "Bella domanda, se lo stanno chiedendo tutti in sala", disse qualcuno una volta in un altro film.
E questa è la prima scelta tragicomicamente assurda. Tra l'altro, la sconosciuta Andrews scartata per la sua poca esperienza cinematografica, in quello stesso anno se ne uscì poi con "Mary Poppins" e un rumorosissimo pernacchio Eduardiano in direzione di Jack Warner.
Poi per carità, tutti contenti in realtà, assurdo artistico a parte Warner ci ha visto giusto, la presenza di Hepburn, all'epoca già leggenda e icona assoluta e probabilmente l'attrice di punta principale di tutta Hollywood, fu funzionale allo scopo commerciale e lei diede l'ennesima grande prova recitativa di una maturità artistica che negli anni '60 la portava a non sbagliare un colpo, interpretando una bella varietà di personaggi molto diversi tra loro, alcuni anche complessi, dimostrandosi attrice versatile ed elastica, bravissima nell'entrare nei vari ruoli e nell'interpretare e comprendere al meglio una vasta gamma di personaggi.
Eliza Doolittle è indubbiamente uno dei personaggi più vari e stratificati da lei interpretati, in continua evoluzione e perciò uno dei personaggi più significativi della carriera di Audrey Hepburn oltre che uno dei più iconici. Nel seguire l'evoluzione di Eliza, Hepburn è abilissima. L'interpretazione è grande, Audrey giganteggia per tutto il film ed è un piacere vederla in azione. Naturalmente nella prima ora e qualcosa di film va ricercata la vera meraviglia, l'icona di stile ed eleganza straordinariamente immersa nei panni di una donna dei bassifondi di Londra, grezza e ignorante, stridula e volgare, sporca e vestita con due stracci, con l'indimenticabile accento cockney sfoggiato da Hepburn, frutto di uno studio impegnato ed approfondito per entrare al meglio nella parte. Fantastica. Quando si tende a parlare, un po' troppo, della Hepburn "icona", si rischia di dimenticare come questa signora fosse un'attrice della pòrcamiseria.
Allo stesso modo è fantastico il suo partner maschile, un terribile Rex Harrison, perfettamente odioso e disgustosamente bastàrdo dall'inizio alla fine. Eccezionale prova attoriale anche la sua.
Torniamo però ai problemi del film: l'adattamento dal teatro. Un film non è un musical di Broadway, ha ritmi diversi, tempi diversi. Questo film traspone linea per linea la versione da palcoscenico e finisce per durare troppo. Dura troppo per il tipo di film e per ciò che ha in realtà da dire. Tre ore di durata nelle quali è compreso parecchio materiale perfettamente tagliabile, questo film andava assolutamente asciugato, qualche numero musicale poteva durare un po' meno, qualcun altro poteva non esistere. Esempio più clamoroso, rimettere in scena il padre di Eliza anche nella seconda parte del film, con quella lunghissima parte musicale di lui che deve sposarsi, ecco è un attentato allo spettatore, a quel punto del film. Tagliate, ragazzi, tagliate per la miseria! Asciugato di mezz'ora "My Fair Lady" sarebbe stato molto più agile anche nella seconda parte e avrebbe guadagnato in scorrevolezza e godibilità. Anche qualche altra particina musicale veramente inutile poteva essere eliminata.
Infine, l'enorme difetto, l'indifendibile buco logico, l'orrendo crimine narrativo messo in piedi dalla sceneggiatura di questo film, che riprende pari pari l'eguale idiozìa inventata dalla versione teatrale del '56: i 5 minuti finali del film.
La forzata ricerca di marca Hollywoodiana (quella meno ricettiva al rinnovamento, quella ancorata al vecchio stampo) del lieto fine "romantico" e consolatorio ad ogni costo, anche se ciò significasse di fatto cancellare e privare di significato tutto ciò che lo spettatore ha visto fino a quel momento, eliminare la naturale evoluzione narrativa per ciò che era lo sviluppo della storia e l'evoluzione del personaggio di Eliza, ribaltare le carte in tavola all'improvviso e senza alcuna base solida a sostenere lo sconvolgimento.
L'unico possibile e logico finale è quello della sequenza in casa della madre di Higgins, con la realizzazione di sé della protagonista e la sua emancipazione da quel sub-umano (e correttamente descritto come tale dal film, fino a quel momento) del suo "mentore". Sarebbe stato anche il finale che avrebbe dato senso all'assenza di una qualsiasi evoluzione nel personaggio di Harrison, immutato nella sua arroganza e nella sua misoginia e negli altri ottocentoquarantasette difetti della sua persona. Invece no, non cambia, ma vince comunque. Ma stiamo scherzando. E quel finale, intendo l'unico in realtà possibile, quello che non c'è stato, era in realtà quello previsto da Shaw nel suo "Pigmalione", il finale giustamente pensato dall'autore della pièce originale, che a 'sta stronzàta messa in piedi dalle versioni del '56 e del '64 nemmeno nel peggiore degli incubi ci avrebbe pensato. Tra l'altro, così com'è il film, anche ogni singola parte del giovane spasimante di Eliza poteva essere tranquillamente tagliata, quel personaggio non ha senso di esistere nel film.
"My Fair Lady" è un film in gran parte rovinato ed è un peccato.
La maestria di George Cukor, la sua regia elegante e raffinatissima, le splendide scenografie esaltate dal 70mm, ampiamente sfruttato e bene grazie ad una fotografia molto buona e appunto per merito di un direttore d'orchestra tanto abile ed esperto nell'uso della macchina da presa rendono "My Fair Lady" un film splendido da vedere. La sequenza della corsa dei cavalli, con una delle coreografie musicali e una delle canzoni più riuscite del film, è un piccolo capolavoro, anche di satira leggera alla nobiltà; fa ridere ed è splendidamente realizzata in ogni suo aspetto, tecnicamente parlando. Così come la prima parte del film, quella dell'addestramento di Eliza, è piena di splendide inquadrature che esaltano e giocano con gli spazi della casa di Higgins ed è anche il momento narrativamente più ricco di brio e col ritmo migliore.
Insomma, il film a me è piaciuto, nella forma, nella regia di Cukor, nelle interpretazioni dei due attori protagonisti, anche in qualche canzone. Ma per altre cose mi ha fatto imbestialire come un leone sotto steroidi e con la rabbia. Poteva essere un grande film e invece così è solo un buon musical e un'occasione buttata alle ortiche ma, ehi, grande successo quindi va bene tutto. Poi dici perché con le nuove generazioni di cineasti sarebbe esplosa la New Hollywood, di lì a poco.