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PAT GARRETT E BILLY THE KID regia di Sam Peckinpah

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amterme63     7½ / 10  26/01/2010 00:11:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
“E ora che finalmente hai trovato Billy The Kid, falla finita”.

Non so se questa frase nel finale del film sia stata prevista dalla sceneggiatura o se è stata aggiunta da Peckinpah di getto durante le riprese. Tant’è che riflette benissimo lo stato d’animo dello spettatore un po’ spazientito visto che dopo un inizio folgorante, il film si siede su stesso e non procede in nessuna direzione.
La sceneggiatura è certamente il punto debole del film, ma anche l’arte di Peckinpah risente di un certo logorio e tende a cristallizzarsi in schemi.
Il tema del film è quello classico di tante sue pellicole, cioè il conflitto fra il dovere sociale (l’ordine economico, la legalità ufficiale) e il dovere etico (la sacralità dell’amicizia e la solidarietà di gruppo). Intervengono poi altri suoi temi tipici come quello del rimpianto dei tempi passati, il senso di decadenza sia sociale che individuale, il generale dominio del proprio tornaconto e della violenza, l’impossibilità di un sentimento duraturo fra uomini e donne.
Se si vuole, questo è il film più duro e nichilista di Peckinpah (almeno fra quelli che ho visto fino ad adesso). Nel “Mucchio Selvaggio” il senso dell’amicizia dominava su qualsiasi altra considerazione al punto da sacrificare anche la propria vita. Qui invece l’amicizia non ha più questa grande forza, cedendo all’opportunismo, alla propria personale sopravvivenza (anche se con grande dolore e rassegnazione). In “Sfida nell’Alta Sierra”, il protagonista resta fedele al proprio dovere in maniera integerrima e ciò rappresenta un punto fermo all’interno di una società caotica e anarchica. Anche in PGEBTK il protagonista decide di agire per la “legalità” e per l’ordine costituito, solo che stavolta dietro questi principi cardini della vita sociale, c’è altrettanto caos e altrettanta anarchia, se non addirittura peggio. Il marcio ha davvero conquistato tutto; il modello della città di straccioni e miserabili ritratta sempre in SNAS adesso è diventato il modello dominante di tutta la società.
Tra l’altro la scelta di Pat Garrett di seguire la “legge” e di tradire il proprio amico lo porta a diventare un arido opportunista e fa sì che anche lui finisca stritolato da questo sistema dove non c’è riguardo per nessuno. Lo si capisce benissimo nella scena iniziale, scena stranamente tagliata nell’edizione italiana, la quale lascia così il film zoppo, senza “smontare” la figura di Pat Garrett, come fa il film originale.
Una cosa che mi è saltata all’occhio in questo film è la scarsa importanza che ha la vita umana. Nel “Mucchio Selvaggio” ogni personaggio anche secondario veniva sviluppato, veniva ritratto a livello umano, cosicché la sua morte assumeva un certo significato anche emotivo. Qui invece s’incontra tutta una serie infinita di comprimari, giovani, ma spesso di una certa età, carichi di esperienze, di vita potenziale non rivelata, i quali attoniti accettano incarichi ben sapendo che si tratta della fine della propria vita, come puntualmente avviene. “Mio figlio era veramente un bravo ragazzo, solo che non sapeva sparare”, racconta un vecchio padre della morte del proprio figlio, chiacchierando quasi con distacco ad un pranzo. Certamente questo è il film più “leoniano” di Peckinpah.
C’è però una splendida eccezione:

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Bob Dylan ha regalato una splendida colonna sonora a questo film, ma se lo poteva risparmiare di apparire come “attore” (sembra un alieno piovuto sulla terra), in una parte riempitiva che stona con il contesto del film.
E’ un’opera non all’altezza dei capolavori, anche se rimane sempre grande dal punto di vista tecnico e con alcune scene indimenticabili.