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LA BALLATA DI CABLE HOGUE regia di Sam Peckinpah

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amterme63     8 / 10  01/01/2010 17:06:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film piacevole che ruota quasi totalmente su di un unico personaggio. Sembra quasi che Peckinpah, dopo il Mucchio Selvaggio, si sia voluto prendere come una pausa o forse abbia tentato di esprimere le sue idee con un stile un po’ diverso.
Certo, anche questo film è di genere western, si svolge negli stessi anni del Mucchio Selvaggio; però a differenza di questo non si basa sulle azioni avventurose di gruppi di persone, non ha l’ambizione di dipingere uno stato sociale collettivo esemplare. La Ballata di Cable Hogue si dedica più che altro all’approfondimento sentimentale e morale di un singolo abitante del West. Qui lo sguardo del regista è più concentrato che diffuso. Ne risente anche lo stile del film che ha un ritmo molto più lento, molte pause liriche (con bella musica) e sentimentali, numerose scene di sapore comico e ironico (si usano le accellerazioni invece che i ralenti), l’uso di frequenti primi piani, split-screen, dissolvenze, proprio per arricchire e complicare i punti di vista.
Il primo quarto d’ora del film è secondo me il più bello. Appare all’improvviso un uomo solo assetato e sperduto nel deserto; di lui non sappiamo niente, come mai si trova lì. Finisce per trovarsi a tu per tu con altre due persone sperdute e assetate che cercano di rubargli l’acqua. Sorge il dilemma se rispettare la propria coscienza morale (comandamento cristiano: non uccidere) o il proprio istinto di sopravvivenza. L’uomo sceglie di avere fiducia, la quale viene però malpagata. Vaga per giorni nel deserto (bellissime immagini di paesaggi) senza un goccio d’acqua e dialogando spesso con Dio. Viene salvato da una casualità/miracolo.
In queste scene Peckinpah sembra irridere ai comandamenti religiosi e ai buonismi, mentre dà credito a una forma di “fede” pratica e personale.
L’uomo in questione diventa quindi possessore di una fortuna (una polla di acqua) e la riflessione si posta sul concetto di proprietà privata e di commercio, visto come base essenziale per la sopravvivenza del singolo/unità indipendente.
In questa fase iniziale il protagonista sconosciuto, senza passato, diventa un po’ il prototipo di “chiunque”, le sue avventure hanno quasi valore astratto e universale. Il film però cambia strada e va in direzione del racconto delle vicende di Cable Hogue (l’uomo non è più uno qualsiasi), un amante della vita nel deserto (rude e primitiva, dura, solitaria ma meravigliosa). La sua è una scelta voluta, visto che si trova più a suo agio nella natura ostile, piuttosto che nella “complicata” civiltà.
Questo tipo di vita (visto con molta simpatia da Peckinpah) non è però sufficiente; mancano due cose fondamentali: l’amicizia maschile e l’amore femminile. La prima Hogue la trova in Joshua, un avventuriero vagabondo che si spaccia per reverendo (altra frecciata ironica alla religione costituita), mentre il secondo lo trova in Hildy, un’avvenente prostituta (altra frecciata al perbenismo e altra lode del “commercio”) di belle maniere e dal cuore tenero.
La donna “ideale” di Peckinpah è una donna sensuale, pronta ai desideri dell’uomo e dedita alla sua cura. C’è però come la sensazione che un’idillio del genere non possa durare a lungo: la civiltà delle macchine è in arrivo e presto non esisteranno più rifugi isolati nella natura; c’è poi la triste costatazione che la felicità con una donna non può che essere di breve durata e destinata a finire o a interrompersi presto.
Il finale (un po’ forzato – la parte più debole del film) ci lascia perciò con molta malinconia, tristezza, rimpianto e nostalgia dei bei tempi trascorsi, gli eterni sentimenti dei film di Peckinpah.