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DIETRO I CANDELABRI regia di Steven Soderbergh

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8½ / 10  14/12/2013 01:30:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Diciamo subito che con Sodelbergh ho sempre avuto grossi problemi, è un regista che ammiro ma spesso ho sottovalutato film che avevano potenzialità piuttosto alte tipo Infection e magari mi sono lasciato trasportare un po' troppo dalla superficialità baraccona di Magic Mike e affini. Diciamo che i voti non si possono cambiare, ma probabilmente il suo Che diviso in due parti resta la miglior operazione della sua carriera, e Dietro i candelabri non è all'altezza del Sodelbergh migliore. Ma mai così spesso il risultato così altalenante è secondario rispetto alla grandiosa performance di Micheal Douglas, letteralmente superbo con i suoi tic la sua forza e la sua fragilità - a volte piuttosto meschina - a dare un volto e un'immagine a quello che è stato, nel bene e nel male (soprattutto) uno dei pianisti più amati e chiaccherati del ventesimo secolo.
Ed è proprio straordinario nel rapporto con la madre, in quell'abbraccio feticista con un pubblico che ammira strabiliato questo Rubinstein vestito e asservito da mise in scene degne della nostra Wanda Osiris (!?).
Altrettanto efficace Damon, che fra l'altro esibisce un fisico perfetto e riesce a essere persuasivo anche cercando di dimostrare qualche anno in meno. E sorprendente la rediviva Debbie Reynolts, che è ora tenera ora opprimente nel ruolo materno.
"Dietro i candelabri" si concentra quasi unicamente sul rapporto tra la star ricca e viziata (o viziosa?) e il suo pupillo, mettendo a nudo il totale annullamento delle personalità in favore del narcisismo di un idolo pubblico in fondo in fondo tristemente solitario al di là del luccicante delirio kitsch della sua immagine.
In questo senso sì, può risultare superficiale e forse un po' noioso, quando segue alla lettera i parametri autobiografici dell'Io narrante e contempla, ma non più di tanto in fondo, la dimensione iconografica dell'artista.
Eppure in questo glamour c'è la forza del film, perché non si tratta di un film su una checca piena di soldi, ma l'ennesima finestra su un mondo fatto di fama e dimore di lusso, quello di Hollywood e Palm Springs, su un costante rifugio dove perdersi e ritrovarsi (Damon che chiede di uscire per vedere gli amici, Liberace-Douglas che pretende l'autista per muoversi soltanto per le prove dei suoi concerti). Alla fine, il film è prezioso proprio perché mette a nudo anche la credibilità di Liberace, che alla fine della carriera si trova a presentare la notte degli Oscar 1982 con la sensazione di una star anacronistica acclamata per gli ultimi fuochi della sua fama. Personalmente posso aver trovato fastidiosi certi frammenti, come del resto l'eccessiva parte dedicata alla chirurgia plastica, ma al contrario commoventi e memorabili certi altri, come il commiato finale.
Ciò che rende "Dietro i candelabri" un film così intenso al di là di certe lungaggini è del resto quel gusto amaro, di solitudine, che si respira davanti all'ennesimo mosaico di uno star-system logorato e stantio (un po' come l'ultimo Presley).
E in fondo, come dimostra il personaggio di Damon, "Dietro i candelabri" è forse la prosecuzione Camp di "Magic Mike"