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EASY RIDER - LIBERTA' E PAURA regia di Dennis Hopper

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amterme63     8½ / 10  26/07/2009 13:55:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film datato? Sì e no. Sì, perché è legatissimo ad una specifica situazione culturale, quella degli Stati Uniti alla fine degli anni ’60. No, perché esprime esigenze, stati d’animo e idee che vanno al di là dell’epoca specifica e si riallacciano a universali della vita umana (il viaggio, la ricerca, la scoperta, l’esperienza, la tragedia). In ogni caso, anche se è un documento legato al tempo in cui è uscito, ne riassume così bene lo spirito che non si può fare a meno di vederlo, se si vuole sapere cosa è successo nella mente di tanta gente che è vissuta prima di noi. Si tratta poi di un film visivamente e musicalmente molto molto bello, ben fatto e che pure a distanza di 40 anni affascina e incanta.
Chi si appassiona di storia del cinema non può fare a meno di meravigliarsi della grande novità stilistica che ha questo film rispetto ai classici hollywoodiani tanto in voga appena pochi anni prima. Prima di tutto gli elementi narrativi e strutturali sono tenuti in minore considerazione; non si spiega una storia o dei personaggi, ma si lascia che lo spettatore se li ricostruisca nella propria testa attraverso le immagini.
La storia inizia all’improvviso senza alcun antefatto. Ci sono due giovani che hanno comprato e poi rivenduto della droga. Perché? Chi sono queste persone? Non viene spiegato direttamente. Il resto del film serve proprio a tentare di penetrare nella psiche dei due protagonisti e attraverso di loro mostrare situazioni topiche dell’epoca e farsi un’idea e un giudizio della società di allora.
I due giovani hanno finalmente realizzato il sogno di tanti protagonisti di film noir, avere fra le mani un bel gruzzolo e poter vivere comodamente senza lavorare. Ovviamente l’onesta/disonestà dei mezzi di guadagno ha un ruolo molto secondario nell’immaginario collettivo di oggi e di allora. La cosa nuova è che i due protagonisti non fanno come un comune eroe di noir, cioè dilapidare i soldi gozzovigliando nel lusso. No, loro comprano due moto e si mettono in strada, così, senza una meta, quasi scordandosi di avere tanti soldi. Il desiderio da realizzare da materiale diventa spirituale.
E’ vero vorrebbero andare in Florida, ma il proposito è così sfumato e poco impellente che diventa quasi una scusa per mettersi in strada. E’ la libertà quello che conta, la pienezza della vita in sé, senza legami e senza barriere morali o spaziali. Viaggiare, vivere, conoscere in un moto infinito, ecco la vera essenza dei due protagonisti. La mdp ce li inquadra spesso che si beano della loro libertà, con sfondi paesaggistici mozzafiato, bellissimi, che danno ai protagonisti un’aria di esaltazione este/atica. Sembra di vedere un film di John Ford, con dei mezzi hippy al posto dei granitici cowboy. Easy Rider ha molti punti in comune con i film western e per certi aspetti ridisegna il mito della frontiera e dell’eroe solitario per gli anni a venire. C’è poi la musica che è il grande in più del film. Invece di sottolineare la grandiosità esteriore come nella musica dei film western, qui si cerca di esprimere le sensazioni che provano i personaggi vivendo la scena, creando una grandiosità tutta interiore e spirituale.
Easy Rider introduce il nuovo spirito che animerà i giovani degli anni 68-77, quello di voler cercare fino in fondo, sperimentare radicalmente, senza (forse) rendersi conto di osare l’impossibile, di essere destinati all’(auto)distruzione. La sensazione è netta: solo fuori dei contesti urbani, isolati dal resto del mondo, si riesce a realizzare la proprio utopia. La famiglia di coltivatori rappresenta un po’ quest’ideale di vita serena e tranquilla con valori certi e funzionanti. La comune degli hippy invece è vista in maniera un po’ distaccata e quasi scettica. Si dice che “ce la faranno” ma tutto fa pensare che non sia così. C’è poi l’esperienza della liberazione dai tabù grazie alla droga, anche questa non proprio vista con occhi positivi. Si esprime quindi adesione alla legittimità del modo di vivere hippy, ma allo stesso tempo non ci si perita di vederne indirettamente i limiti.
Quello che fa più paura è invece il mondo “normale” e qui la condanna del film è netta. Come minimo sono tutti chiusi, diffidenti e scortesi oppure morbosamente curiosi. Spesso si passa invece alle vie di fatto con una freddezza e un cinismo che lasciano esterefatti. Non bisogna dimenticare la guerra del Vietnam, l’uccisione dei due Kennedy. I progressisti all’epoca vedevano l’americano tipico in maniera molto negativa e pessimista. Sognare e provare sarà impossibile con questa gente e in questa società; il finale drammatico e banale allo stesso tempo sta lì a dimostrarlo. Si tratta di uno dei finali più anti-filmici che abbia mai visto e lascia tanta insoddisfazione e amaro in bocca.
Qualcosa di bello, grandioso e positivo però resta ed è la natura e il paesaggio americano. La nuova frontiera è questa: non vedere più il territorio come qualcosa di materiale da sfruttare, ma come un tutto unico da conoscere e vivere per quello che è. E’ grazie al 68 se è nata la cultura del turismo capillare per conoscere il paesaggio in sé, lo spirito ambientale e l’economia preservativa. Il secolo XXI ci darà se questo spirito si affermerà definitivamente o se continueremo a vedere segni di dollari o euro appiccicati sopra ogni cosa.
Eary Rider può essere lento, noioso ma se visto con certi occhi e con un certo spirito può dare tante soddisfazioni al proprio animo.