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PHILOMENA regia di Stephen Frears

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     9 / 10  26/12/2013 23:52:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Di solito non amo lo zucchero, preferisco i gusti salati, possibilmente piccanti. Anche molto piccanti.
Ma quando una vecchia volpe come Stephen Frears ti serve una salsa di dolce miele e pepe nerissimo così perfettamente amalgamati, non resta che accomodarsi a tavola per gustarla fino in fondo senza troppe storie.

In questo "Philomena" non c'è una sola cosa che non sia azzeccata, che non funzioni: dal soggetto alla sceneggiatura (giustissimamente premiata a Venezia) per arrivare ai dialoghi, vera mitragliata di ironia e battute ficcanti -serie e non- dal primo all'ultimo fotogramma, la splendida musica con arrangiamenti a corde di Alexandre Desplat (la sua classe non è mai acqua), la fotografia limpidissima e il montaggio praticamente perfetto nella sua assoluta linearità, fino alla regia, ma soprattutto al lavoro attoriale di una fantastica Judi Dench affiancata dal co-protagonista e co-produttore Steve Coogan (senza nulla togliere al resto del cast, veramente superlativo).

Il laicissimo Frears imbastisce un confronto dialettico tra lucidità cinica della Ragione, Fede critica e bigottismo risaltandone tutte le sfumature di grigio possibili attraverso la toccante vicenda di una anziana donna di fede che cerca disperatamente il figlio sottrattole 50 anni prima dalle famigerate suore maddalene irlandesi già oggetto di un altro bellissimo (e sconvolgente) film di Peter Mullan, "Magdalene" (anch'esso presentato e premiato a Venezia nel 2002).
L'incontro tra un giornalista blairiano progressista ex-cattolico ed ex-BBC dalla carriera stroncata e la semplice infermiera di origini irlandesi Philomena, non poteva che essere esplosivo: costretti a condividere la ricerca di questo figlio "adottato" (in realtà venduto) a una facoltosa coppia di cattolici statunitensi, entrambi si daranno lezioni di vita indelebili.

L'ulteriore tocco di classe di Frears sta proprio nella capacità di gestire con humour tutto british ogni fase del film, dalla più spassosa (memorabile la sequenza dell'aeroporto dove Philomena si accalora con Michael nella minuziosa descrizione di un romanzetto rosa in edizione Reader's Digest) alla più intensa e drammatica (il confronto finale tra un furente Michael, suor Hildegard e la stessa Philomena), per non parlare del bellissimo, agrodolce "non-happy end".

L'approccio "sanamente laico" di Frears gli permette di tratteggiare Philomena come una vera Cristiana, dotata di una Fede tanto incrollabile quanto assolutamente critica e aperta al mondo pur nella sua semplicità: sarà lei -e non l'accaloratissimo, rancoroso compagno di viaggio- ad infliggere alla responsabile del suo peggior male la più devastante delle lezioni possibili: il Perdono. Quello rielaborato in anni di sofferenza silenziosa, quello che costa, quello che non è assolutamente facile e scontato accordare, quello più lontano dalla superficiale emotività del giornalismo da tabloid.
Il giornalismo: l'altro vero bersaglio di Frears, forse persino più del bigottismo stesso. Il film gronda letteralmente di ferocissimo sarcasmo (reso bene anche nella versione italiana) contro il milieu dell'informazione e contro certo intellettualismo sufficiente, supponente e salottiero.

Raramente è stato tratteggiato così bene un personaggio tanto positivo come quello di Philomena. E questo è ciò che ti rimane dentro: le espressioni di una Judi Dench in stato di grazia dagli occhi vivissimi su una faccia ricoperta di rughe profonde come solchi. Occhi che ridono, nonostante l'età e nonostante il dolore covato con umile pazienza in più di dieci lustri. Un dolore che riscatta grazie alla forza della lucida comprensione di sé e degli altri che ha portato con sé.
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  26/12/2013 23:54:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Chiedo venia per un errore madornale: il personaggio del giornalista si chiama Martin, Michael è il nome americano del figlio di Philomena. Mi scuso nuovamente (se i redattori possono intervenire, correggano pure, grazie).
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  29/12/2013 23:56:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma è tutto così perfetto il film? Non mi sembra automatico che un omosessuale (vetusto cliché anni ottanta) debba ammalarsi di aids, o che abbia per forza di cose una vita sessualmente promiscua... mi sembra più centrato sul piano ideologico, che riguarda il bisogno di sfruttare una storia vera al di là delle emozioni che riveste nei diretti o indiretti (il giornalista) interessati
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  31/12/2013 17:43:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sì, il film è pressoché perfetto. Anche per la faccenda del figlio gay morto di AIDS, aspetto che Frears riesce a far scivolare in secondo piano rispetto a quel che gli premeva risaltare. Al netto di quanto ci possa essere di vero nella vicenda da cui è tratto il soggetto del film, la promiscuità del "milieu" gay maschile è cosa risaputa e conclamata, in particolare in quelle situazioni (gli USA reaganiani, l'Italia di oggi) dove era (da noi è) assente ogni prospettiva di riconoscimento legale dei legami sentimentali tra persone omosessuali. Quindi ci può stare e non mi sembra una forzatura. Del resto, per restare alla trama del film, non è nemmeno difficile immaginare che l'ultima, grande perfidia di Suor Hildegard nei confronti del morente Michael sia stata l'idea di una giusta punizione divina per il modo di essere e per le scelte di vita dell'uomo. A me sembra anzi un ulteriore, potente atto d'accusa contro l'istituzione cattolica, ipocrita e perfida fin nelle midolla persino davanti all'amore e alla morte.