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COMBAT SHOCK regia di Buddy Giovinazzo

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phemt     9½ / 10  04/10/2007 18:28:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E’ il 1986 e Buddy Giovinazzo è un ragazzo come tanti, non ancora trentenne (è nato a New York nel 1957) è ormai prossimo alla laurea in cinematografia all’Università di Staten Island e per quella occasione ha deciso di portare come tesi un piccolo lavoro semi-amatoriale sulle conseguenze della guerra in Vietnam su un giovane reduce incapace di rapportarsi con il mondo che ha ritrovato dopo il rientro in patria…
E proprio il 1986 è l’anno del ritorno in grande stile del Vietnam sugli schermi cinematografici con quel Platoon di Oliver Stone che, oltre ad un buon successo di pubblico, si porterà a casa anche quattro oscar, proprio mentre Stanley Kubrick sta ultimando le riprese del suo personale Vietnam-movie, quel Full Metal Jacket che a conti fatti si rivelerà uno dei film più riusciti del geniale regista statunitense…
E’ il 1986 e Buddy Giovinazzo è un ragazzo come tanti che sta girando il suo primo film con una troupe formata perlopiù da parenti e amici, ma neanche lui può mai lontanamente immaginare che quella sua opera prima diventerà con il tempo uno dei più grandi Cult della storia del cinema…

Frankie Dunlan (interpretato da Ricky Giovinazzo fratello del regista Buddy) è un reduce del Vietnam che vive in miseria e in condizioni quasi disperate… Ormai senza lavoro da quattro mesi e pieno di debiti, è ossessionato dal ricordo del Vietnam e dalle violenze eseguite e subite durante la guerra… Pian piano la situazione degenererà e con essa anche la stabilità mentale di Frankie che finirà per perdere il controllo di sé stesso…
Questa in pochissime parole è la trama di Combat Shock (titolo originariamente pensato, in realtà molto più calzante, Incubo Americano) ma come spesso accade la differenza non la fa solo la storia che viene raccontata ma il modo in cui viene raccontata…
Giovinazzo opta per una narrazione non lineare dove il dramma e i problemi di Frankie si alternano ai ricordi del Vietnam e parte subito con un incubo che a conti fatti un incubo non è, prima di tutto perché è appunto uno dei tanti ricordi della guerra, ma soprattutto perché il vero incubo per Frankie è quello che sta vivendo in America in quella che per lui è la realtà…
Frankie è uomo senza lavoro, senza speranza e senza futuro, vive in una casa fatiscente con un bagno che non funziona, un frigorifero con solo del latte, i cassetti vuoti e uno sfratto in arrivo, una moglie incinta che non ce la fa più, un figlio deforme, i vicoli sporchi dietro casa, le macchine abbandonate, i barboni che dormono per terra, gli uffici di collocamento affollatissimi, drogati senza via di scampo, papponi, delinquenti, bambine che si prostituiscono, un treno che passa e la vita che se ne va… Questa è la realtà che si trova a vivere Frankie ormai oberato dai debiti, malmenato dai suoi usurai, inascoltato dal padre e snobbato dagli uffici di collocamento (“Mi dia una buona notizia”, “Sono le 13:30”)…
E mentre c’è chi è costretto a cercare una siringa tra l’immondizia, e mentre i drogati si derubano tra loro e mentre le bambine si prostituiscono per strada con leggerezza ed ingenuità, per Frankie la situazione a poco a poco è diventata insostenibile… Non può tornare a casa a mani vuote, non questa volta e mentre la moglie a casa si “guarda” un porno in una tv che non funziona e mentre il figlio deforme si lamenta senza sosta, Frankie, fuori nella “sua” giungla, decide di fare un ultimo disperato gesto... Gli andrà male perché negli incubi finisce sempre così, ma l’ultimo pestaggio, l’ultimo sopruso (identico a quello subito in guerra) risvegliano Frankie che finalmente decide di combattere contro il fantasma del suo Vietnam, finalmente decide di venire a capo del suo senso di colpa, di quel vuoto che ha dentro da anni e che non riesce a riempire… Perderà completamente il lume della ragione ma ormai avrà tutto chiaro in mente e capirà il da farsi per salvare se stesso e le persone che gli stanno a cuore… Finalmente Frankie ha trovato la via di fuga che cercava da anni…
Letteralmente impressionanti gli ultimi minuti della pellicola dove in un crescendo di un intensità rara lo spettatore assiste inerme all’epilogo di questo straordinario capolavoro… Dieci minuti più unici che rari nell’intero panorama cinematografico mondiale, una discesa negli inferi come non è mai stata mostrata prima, dieci minuti davvero impossibili da dimenticare…

“The dream is over” cantava John Lennon nel 1970 quando ormai la guerra in Vietnam stava volgendo al termine (anche se in realtà continuò ancora per qualche anno era ormai irrimediabilmente persa soprattutto davanti all’opinione pubblica americana) in quel Plastic Ono Band che di fatto suggellava il suo addio ai Beatles dopo otto anni… “The dream is over” appunto, ed è di questo che parla Combat Shock, della fine dell’American Dream, la fine per quei giovani ragazzi partiti per una guerra assurda che per molti di loro non è mai finita… La fine del sogno per tutti quelli che la guerra se la son portata appresso, può cambiare lo sfondo (non più il verde Vietnamita ma il grigio cittadino), possono cambiare i nemici (non più ragazzi gialli di cui non sapresti pronunciare il nome ma la popolazione multi-etnica americana), ma la guerra non finisce mai ed è sempre lì, nascosta tra i vicoli o tra gli alberi non fa differenza perché sempre di giungla si tratta… Ed è lì dietro l’angolo sempre pronta a saltarti addosso e desiderosa di riprendersi ciò che le spetta, il suo tributo di carne e sangue. Combat Shock parla della fine del sogno per tutti quelli che non riescono a tirare avanti, che non avendo una specializzazione non trovano lavoro, che hanno una famiglia a carico che non riescono a mantenere; parla della rovina di un uomo e di come questi prenda la strada dell’autodistruzione, ma in realtà parla della rovina di una Nazione intera…
Giovinazzo delinea anche un doppio conflittuale rapporto padre-figlio utilizzando il protagonista come spartiacque e andando a rappresentarlo prima come figlio e poi come padre. Frankie ha un padre all’antica che non accetta le sue scelte (come si evince da un ricordo durante la lunga prigionia in un campo Vietcong) ma è un perdente anche lui, non ha più niente, vive su una sedia a rotelle all’interno di un ospizio, continua a credere che il figlio sia morto lì a Saigon e non ha più né la voglia e né la forza di tornare indietro… Frankie tenta un ultimo avvicinamento che si rivelerà inutile perché, come capirà poi anche lui, è davvero morto a Saigon e dal Vietnam (se non fisicamente) non c’è mai tornato…
Ma oltre ad essere figlio Frankie è anche padre di una mostruosa creatura presa di peso da un altro superbo esordio girato anni prima (sempre con una troupe formata perlopiù da parenti e amici) da un altro geniale regista… Il regista è David Lynch e il film è quel capolavoro di Eraserhead che Giovinazzo cita vistosamente senza farsi il minimo problema…
Frankie non riconosce come “suo” il figlio deforme, per lui non è frutto del suo seme ma è figlio dell’Agente Orange, il defogliante (poi scoperto tossico) con cui gli americani irroravano il Vietnam… Ma nel disperato finale abbraccia il figlio ormai morente con amore e tenerezza in una scena che definire commovente (anche ad una seconda visione e sapendo quindi quello che succederà poi) è poco...

Interessante e solida la regia di Giovinazzo che senza fronzoli o virtuosismi racconta questa storia come meglio non potrebbe e che brilla soprattutto per trovate… Geniale il vaneggiamento durante gli anni del ricovero con tanto di auto-interrogatorio, ottima la trovata di proiettare le immagine del Vietnam sul volto dell’ormai “perso” Frankie che è finalmente venuto a capo della verità dopo un dialogo rivelatore con il televisore...
Notevole la sceneggiatura con citazione obbligata alla telefonata padre-figlio, uno dei momenti più intensi della storia del cinema, la dimostrazione di come si possa trasmettere un senso di cupa disperazione anche con un singolo dialogo se costruito come si deve…
Ottimi gli effetti splatter (molto reali malgrado il budget), eccezionale il lavoro sul bambino deforme… Intensa e partecipata la performance dell’allucinato Ricky Giovinazzo davvero estremamente convincente…

Descritto dallo stesso regista (che si regala anche un minuscolo cameo) come un incrocio tra Eraserhead e Taxy Driver, chiaramente Combat Shock non può vantare il livello registico di questi due capolavori ma per quanto riguarda l’angoscia, il senso di vuoto e di disperazione che la pellicola riesce a trasmettere il lavoro di Giovinazzo non è certo da meno…

E visto l’elevato livello del film poco importa se balza agli occhi, anche dello spettatore meno smaliziato, la grande differenza tra le scene girate da Giovinazzo nel “suo” Vietnam ricreato a Staten Island e quelle prese da immagini di repertorio, così come la strampalata e poco adatta colonna sonora del fratello Ricky non intacca più di tanto la bellezza estrema di questo capolavoro…

Recuperato e distribuito dalla Troma che gli appioppa una locandina Rambo-style, in realtà davvero poco adatta, Combat Shock fa a gara se nella (altalenante ma con sprazzi di eccellenza) filmografia della storica casa di produzione statunitense… In Combat Shock non c’è spazio per demenzialità e vistose trashate, c’è spazio solamente per il dramma interno di un uomo ormai solo contro tutti…

Cupo, disperato, pessimista, allucinato, malato, crudo, distruttivo, triste, profondissimo e commovente Combat Shock è un incubo a occhi aperti ed è la dimostrazione lampante che, quando si hanno idee valide e il talento per metterle in atto, i budget diventano puramente accessori…
samtam90  27/07/2008 13:45:20Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I miei complimenti per questa eccellente recensione.
phemt  27/07/2008 16:48:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie mille! Troppo gentile...