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BIG BAD WOLVES regia di Aharon Keshales, Navot Papushado

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8 / 10  10/03/2015 11:40:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il grande lupo cattivo è insito in Israele, è radicato in modo viscerale tra le persone, nel modo di pensare e di agire di questo popolo ormai da tempo venuto a patti con la violenza. La brutalità è accolta, accettata e in caso di bisogno messa in pratica.
Al secondo film (dopo l'interessante "Rabies") il duo Keshales/Papushado torna a sfruttare vie narrative sorprendenti per parlare del proprio paese natio, questa volta mediante un thriller sui generis, in cui commedia nera, sangue (quello di una ragazzina abusata e decapitata) e dramma si rincorrono splendidamente senza pause significative.
Lo spettatore vive nell' assoluto disagio, costretto a ridere di situazioni che in teoria dovrebbero far accapponare la pelle mentre la violenza viene dissacrata, resa parte integrante del vivere quotidiano come dato di fatto e non come aberrante eccezionalità.
In "Big bad wolves" i buoni sono aboliti, o almeno, chi dovrebbe stare per convenzione dalla parte giusta sembra infischiarsene, aderendo a metodi immorali tramite i quali raggiungere una pacificazione grottesca. Il poliziotto e il padre di famiglia si contrappongono al sospettato dell'omicidio -un mite professore di religione- , il quale viene sottoposto a metodi inquisitori di stampo medievale nel tribunale istituito dai due, ovviamente al tempo stesso giudici e carnefici.
La colpevolezza è tale anche in chiara mancanza di prove: tra dita spezzate, martellate e torture inflitte con la fiamma ossidrica c'è pure spazio per siparietti surreali con genitori invadenti o brevi aperture di natura sociale, dove gli ebrei, a confronto con un palestinese a cavallo, si sentono minacciati nonostante le intenzioni tutt'altro che bellicose dell'uomo. A sottolineare lo stato d'allerta in cui Israele versa da anni, con evidente esasperazione del problema tramite una politica del terrore finalizzata all'annullamento del dialogo e della comprensione reciproca.
Dialoghi frizzanti, scenette al limite del nonsense, personaggi azzeccatissimi (il quarto a entrare in scena è indubbiamente il migliore), una sola unità di luogo per un film che Tarantino ha definito il migliore del 2013. Forse le cose non stanno proprio così, ma come già mostrato col precedente lavoro questi due tizi ci sanno davvero fare.