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THE WOLF OF WALL STREET regia di Martin Scorsese

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Barteblyman     10 / 10  23/01/2014 11:50:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non è facile scrivere di questo film, per quanto mi riguarda almeno. E' uno di quei casi nei quali basta solo dire "guardatatelo", ogni parola, ogni congettura risulterebbe infinitamente scialba nonché prolissa già dalla prima consonante. Verrebbe, ribadisco, solo da dire "guardatelo". Guardatelo trattenendo prima il respiro. Giovane spettatrice e giovane spettatore fai un respiro profondo e poi tuffati in quest'opera sublime, meravigliosa, intensa, folle, tossica e alcolizzata. Dovrai prender un bel respiro giacché Martin ci regala il suo film più lungo nonché il film con più parolacce nella storia del cinema (pare 506 fuck e varianti). Dettagli, dico la storia delle parolacce e della lunghezza. Quello che conta è che per tre ore ti ritroverai nelle mani di uno dei più grandi registi viventi che ha realizzato uno dei film più belli degli ultimi anni. Una lezione di Cinema e non solo. Una lezione di stile e di quella che è vera arte cinematografica e non solo blanda esposizione del proprio *****. A tal proposito io agli imminenti oscar vorrei candidarlo anche come miglior film straniero, giusto per aver maggior sicurezza. L'eccesso di Martin non è mai regresso e men che mai macchietta ma è un geniale spettacolo. Insomma, è dannatamente un privilegio il saper che Martin Scorsese è in città. La storia, è risaputo, è la vera storia (certo romanzata giacché è pure tratta da un romanzo) di Jordan Belfort, un broker di Wall Street. Un uomo che di certo non è stato un santo e che si è arricchito distruggendo la vita di altre persone. Ma l'aspetto morale non ha una grande importanza, in questo caso. Jordan Belfort, interpretato da un Leonardo Di Caprio maestoso è un Icaro proiettato non solo al denaro ma soprattutto verso un sé stesso implosivo e autorigenerante. Il denaro come ontologia e come estetica. Il corpo ontologico-estetico del denaro. Ma a parte questi "paroloni" che magari possono far uscire sangue dal naso o provocare l'esplosione di emorroidi basti solo dire, più banalmente, che il personaggio interpretato da Di Caprio è, nel male e nel bene, il simulacro epidermico di un'esperienza vissuta. Ossia una immediatezza tangibile e concreta (un tale Dilthey parlerebbe di erlebnis). Ma non voglio ora inimicarmi né i lettori né i concetti né me stesso con bislacche diramazioni.

Per noi comuni mortali impossibilitati dallo sniffare coca dal buco del **** di una splendida ninfa, non ci è difficile in qualche modo identificarci in questo giovane uomo. O meglio, per noi comuni mortali, le cui palle o labbra quotidianamente sudano seduti in metropolitana diretti a lavoro alle sei del mattino, non è difficile trovare irresistibile quello stile di vita. Non come concetto morale esistenziale ma come un "prendere in mano sé stessi". Per quanto la redenzione della ******* di Medjugorje sia prossima e per quanto il bene trionfi sempre e in ogni caso, la percezione netta di esser perennemente in equilibrio su un pelo di **** (e non a sniffare da esso) è direi fulgida e accecante. L'abisso è lì, a pochi passi, perché allora non sfuggirne ogni tanto? Perché non provare in fin dei conti simpatia o almeno non completo e ipocrito disprezzo per questa versione cinematografica di Jordan Belfort? Almeno nel mondo immaginifico certe cose si possono fare. Marty non è che ci dice cosa è bene e cosa è male (grazieaddio) ma è così "bastardo" da renderci un pochetto antipatici i tutori della legge che di Belfort vogliono farne uno spuntino. Ci fa ridere con lui, ci delizia con lui, ci fa sperare con lui. Ed è un film che parla di str...zifigli..., in fin dei conti. Alla fine, scegliere l'aspetto più divertente non è sempre una cattiva idea. E The wolf of Wall Street ce lo dice subito, parlandoci di un bluff palese, grazie ad una sequenza oltremodo magistrale. Tutta retta su un Matthew McConaughey fulmineo ed immenso.

La macchina da presa di Scorsese è lo sguardo del suo protagonista. Ci regala momenti motivazionali e deliri inverecondi. Scorrendo sopra le teste di esaltati putti con ali di banconote; svincolandosi tra pasticche e Veneri baccanti, tra schizoidi deliranti deliri (riciclando deliziosamente anche scadenze anni Ottanta), tra c**** e f**** e spudorati sguardi in camera. Andando ogni volta oltre e senza mai, senza MAI, decadere o de****** in volgari esibizionismi. Senza mai franare nell'ego formale o finto autoriale. Una differenza non trascurabile, quella che fa di Scorsese non solo un regista ma anche e soprattutto un cineasta nonché un maestro. Come lui stesso dice "I registi si limitano ad interpretare la sceneggiatura (...) I cineasti, invece, sono capaci di prendere il materiale di qualcun altro e riuscire lo stesso a fare in modo che ne emerga una visione personale.*" Il buon Marty (mi si passi il tono confidenziale) prende l'esplosiva sceneggiatura di Terence Winter (I Soprano, Boardwalk Empire) e la rende -per immagini, per forma e per sostanza- un corpus o un logos (come non citare il bronzo o comunque Eraclito) squisitamente scorsesiano. E non in senso di riciclaggio. No. Ed è anche qui il genio di un regista che magari potrebbe semplicemente andare per inerzia. Che me frega, so' Scorsese. Scorsese invece inventa, si reinventa. C'è più sana freschezza in questo film che in altre pellicole finto-innovatrici. Non mi si fraintenda, ma The wolf of Wall Street sembra un film girato da un giovane e geniale cineasta. Sembra l'esordio di un regista da tenere d'occhio. E invece, guarda un po', è di un c**** di settantenne che vorrei abbracciare e ringraziare allo stremo.

Come detto, meglio lasciar spazio alla visione piuttosto che a recensioni. Meglio gustarsi questo film e portarselo poi a casa che blaterarne ulteriormente. Per dire, io ho già bisogno di vederlo una seconda volta, anzi, ho già bisogno di vederlo una terza volta senza ancora averlo visto una seconda; altro che stare qui a scriverne. E a tal proposito, se è possibile il mio consiglio è di gustarlo in lingua originale. Lasciarsi quindi trasportare dalla macchina da presa di Scorsese in primis e poi dalle interpretazioni dei suoi formidabili attori. Attori ove oltre ai già citati McConaughey (eccelsa meteora) e Di Caprio c'è anche un... Come posso dire... Non lo so. C'è Jonah Hill. Giustamente candidato come miglior attore non protagonista il mai dimenticato Superbad qui è osceno per quanto è bravo. Guardalo, seguilo. Ogni suo gesto, dal sistemarsi la cravatta alle smorfie, al dormire strafatto è palese ed eccelso lavoro attoriale. Un lavoro attoriale che incamera un grande come Scorsese dall'altra parte giacché come lui stesso dice "Occorre dare agli attori l'impressione di essere liberi all'interno della gabbia di una scena, e questo a volte può significare una gabbia di appena un metro quadro". E che dire del lavoro di Thelma Schoonmaker? Storica montatrice di Scorsese. Nulla, anzi, molto. Moltissimo. E quindi, in sovraggiunta, il dire migliore è quello dello spettatore. Ossia cosa ci fai ancora qui a leggere questi miei deliri?

Tuffati anche tu quindi giovane spettatrice e spettatore. Drogati cinematograficamente parlando in groppa a questo lupo di Wall Strett. Pian piano ti verrà naturale mugugnare. Ti verrà naturale seguire il tamburellare. Mmm, mmm, mmm mmmm, mmm. Fuck! Mmm, mmm, mmmm, Yeah! Mmm... Mmm... Io amo Zia Emma! Mmm... Pazzesco e folle.... Mmm.... nonché formidabile ogni oltre misura, mmmm.... Il "vecchio" Martin firma uno dei film più gustosi e superbi non solo degli ultimi giorni ma... Mmm.... Mmmm.... Ma anche degli ultimi anni. Il cinema con il CINEMA maiuscolo. Da applaudire alternando ritmici colpi sul petto.

* L'occhio del regista, a cura di Laurent Tirard
Slothrop  23/01/2014 17:39:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi


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Barteblyman  23/01/2014 20:55:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Great!