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A PROPOSITO DI DAVIS regia di Ethan Coen, Joel Coen

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Barteblyman     7½ / 10  06/02/2014 01:30:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il gatto di Llewyn Davis mi ha fatto pensare. Ma gatto a parte io mi son rivisto parecchio in questo Llewyn Davis (protagonista del film che è ispirato alla figura del cantante Dave Van Ronk seppur, come specificano gli stessi Coen, Davis non è Van Ronk.). E non tanto per via della barba. Davis è un uomo che rientra in una categoria particolare, quella dei perdenti. Qualità categoriale non estranea, anzi, al cinema dei simpatici fratelli Coen. Per quanto uno possa sforzarsi di lottare contro il suo essere un perdente alla fine arriva un momento in cui inizia a pensare che forse quella è la categoria esistenziale che più gli appartiene e che invece di contrastarla dovrebbe accettarla senza pietismi di sorta. Tollerarla, magari non propriamente alimentarla, ma tollerarla. Ci sono più perdenti al mondo che vincenti e molto spesso i vincenti vivono nel ricatto del loro essere vincenti e quindi, in qualche modo, pure loro ricadono nel fantastico mondo di noi sfigati ("Parla per te!"). E' indubbio che Llewyn Davis sia un perdente, lo comprendiamo subito ascoltandolo e guardandolo cantare nella suggestiva sequenza iniziale, all'interno del fumoso Gaslight Cafe, in quel del Greenwich Village a Manhattan. Sfiorato dalla luce, per il resto in penombra. Ascoltato e applaudito ma non accolto fino in fondo Davis è uno dei tanti talenti che faticano a mettersi a fuoco, per esser davvero visti. Elemento di empatia in più, oltre alla s**** in sé, questo aver le carte in regola e la frustrazione del constatare che non basta. Bisognerà aspettare Dylan per veder valorizzato nonché monopolizzato (e quindi addio chance) quel mondo. Per adesso, nella New York di inizio anni Sessanta, c'è da camminare con chitarra e gatto a tracolla.

Meno "pungenti" o grotteschi, i Coen preferiscono addentrarsi in Llewyn Davis con uno sguardo malinconico, poetico e men che mai melodrammatico. Al primo impatto è questo che sorprende piacevolmente, il non premere sul pedale dell'amabile bizzarria che li contraddistingue. Certo non mancano quei momenti alla Coen (se mi si passa la categorizzazione) ma più che altro a predominare è un tocco estremamente intimo, un tocco... Toccante. Il tutto scandito dal pizzicare le dita sulle corde della chitarra e dal fare dell'armonia, delle parole in musica, il lato più rappresentativo di sé. Un sé che si sveglia ogni mattina in una casa diversa, a volte coccolato dalle fusa di un gatto imprescindibilmente misterioso. Il gatto! "Un adorabile dispositivo narrativo criptico". Ora, senza stare qui a fare spoiler (e non lo farò) ho letto varie teorie a proposito del peloso felino. Io ne abbraccio una in particolare ma allo spettatore il piacere delle teorizzazioni. Da dire solo che, dal punto di vista squisitamente di scrittura, il personaggio di Davis rientra nelle analisi di sceneggiatura di quel "Save the Cat!" scritto da Blake Snyder. Inserisci il momento "salva il gatto" è darai allo spettatore un eroe (anti-eroe) per il quale fare il tifo. Da aggiungere poi che per il film sono stati scritturati cinque gatti soriani, due hanno varcato da subito la porta del licenziamento, troppo indisciplinati. La parte quindi l'hanno ottenuta in tre. Colpevolmente non compaiono nei titoli di coda (coda...) e quindi li menziono io. Tigger (l'unica femmina, la più mansueta da portare in giro), Jerry -quello più scatenato e a caccia di cibo- e Daryl -quello più da coccole ma che nonostante questo è stato colui che ha graffiato l'attore Oscar Isaac-. Oscar Isaac...

Quando ormai stavano per arrendersi ecco che i Coen incontrano Oscar Isaac, attore sì ma anche ottimo musicista (ha un passato punk nei Blinking Underdogs). Ascoltare per credere (menzionando anche l'addetto alle musiche, T Bone Burnett). Un'alchimia meravigliosa, i registi che trovano il loro attore e attore che trova quello che probabilmente è il suo film migliore o almeno il film che inseguiva da un bel po'. Senza dimenticare il resto del cast, da una dolce ed iraconda Carey Mulligan ad un sonnacchioso e possente John Goodman. Tutto bene quindi e il risultato si vede. Inside Llewyn Davis è un apparente leggero ma essenzialmente profondo film sul fallimento e i suoi crismi. Crismi irrisori, comici, cinici. Destini umani che ballonzolano qua e là, circondandosi sovente di altri perdenti o comunque di reietti. Gente da marciapiede notturno, da postumi, da sigaretta come momento migliore della giornata. Simpatici e meno simpatici al quale dare l'arrivederci, giacché sai che li ritroverai ancora lì. Lo sai perché alla fine ti somigliano e tu somigli a loro. Se non ci credi prova ad addentrarti in questo locale di alcol e nicotina e vedi un po' se quel tizio con la chitarra e la sua canzone folk non assomiglia maledettamente a te.
Terry Malloy  09/02/2014 11:20:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Commento bellissimo e personale, ti aggiungo alla lista amici.