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11' 09 regia di Youssef Chahaine, Amos Gitai, Shohei Imamura, Alejandro Gonzalez Inarritu, Claude Lelouch

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Ciumi     8 / 10  30/09/2009 17:50:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I fatti dell’11 settembre 2001 non avvennero nei soli pressi di Manhattan, né interessarono unicamente le vittime e gli immediati soccorritori. Tanto meno, non si consumarono e s’estinsero nell’arco di qualche ora. Lo scenario fu altresì tutto il mondo, le braci ardono sino ad oggi, e ad essere coinvolta fu l’umanità intera.
E’ a tale considerazione che mirano gli episodi di questa pellicola (non film e non documentario), che prova a raccontare diversi punti d’ascolto rinunciando al veicolo della commiserazione sterile e della commozione. Privandoci ora dell’immagine, ora del sonoro (nel bellissimo episodio della sordo-muta di Claude Lelouch), ora della realtà dei fatti, lasciando intatto il senso comune di smarrimento e d’incomprensione. Ruotando attorno al nucleo di quel luogo e di quelle ore, senza pienamente mai entrarvi, e senza servirsi del mezzo della finzione per farci vivere in prima persona quei momenti atroci.

E poi il nucleo non è che uno schermo buio, folgorante, traumatico, abissale. Un panico di frasi e rumori. Un tessuto di vocii provenienti da ogni lato del pianeta che si sovrappongono senza potersi spiegare. Una sconvolgente sinfonia del nero attraversata da flash d’immagini terrificanti. Una vertigine collettiva. Il senso di orrore cieco e d’impotenza di noi davanti alle notizie radiofoniche. Confusi, colti impreparati. Solo qualche lampo. Quasi gli impulsi d’un encefalogramma che va spegnendosi irreparabilmente. Una voragine di paure. Persone che precipitano dai piani alti dei grattaceli. Silenzio, il crollo, una musica, due esplosioni, due abbagli di Dio che nascono dalla lingua anglosassone e da quella araba. Il Dio cristiano e Allah. Due come gli schianti degli aerei sulle torri.

Quello di Inarritu è l’episodio attorno al quale ruota l’intera opera e, a mio parere, una delle più alte vette artistiche raggiunte in questo inizio di millennio. Ma a ragion del vero bisogna anche dire che non tutti gli episodi posseggono la stessa efficacia, e le troppe divagazioni rischiano a tratti di perdere di vista quel nucleo di cui parlavo.
Resta l’esperienza indimenticabile che Inarritu ci ha offerto però, autentica, lancinante, essenziale.
La conclusione, affidata alla crudezza onirica di Imamura, è un’inquietante metamorfosi Kafkiana dell’uomo recluso in una guerra senza confini territoriali e di tempo. “Non esistono guerre Sante”.